“Non fate più nulla, lasciatevi fare!”

Leggi tutto: “Non fate più nulla, lasciatevi fare!”I padri affermano che c’è una preghiera che è la preghiera di Dio in noi, sulla quale essi non possono dire nulla, perché è insegnata dallo Spirito. Vi è un tipo più ordinario di preghiera del quale si è detto quasi tutto e soprattutto come non coincida con l’atto di pregare: mi riferisco all’attitudine dell’uomo che è abitato dalla preghiera e a essa sacrifica tutto. I mistici la conoscono bene, ma quel tipo di preghiera (ancora umana) non li riguarda più … Il problema che hanno non è sforzarsi di pregare senza sosta o di amare Dio alla follia, ma far fronte alla preghiera di Dio che li invade e li sommerge. Tutto questo è assolutamente al di là dei canoni razionali. Non si tratta più di pregare incessantemente, ma di far fronte a un uragano che affascina, che assomiglia al vento impetuoso della pentecoste e non è più commisurato all’uomo che prega Dio, ma a Dio che prega l’uomo. Colui che percepisce in sé questa preghiera di Dio cerca di farvi fronte come può e comprende la vanità degli sforzi fatti in passato nel suo desiderio di giungere alla preghiera continua. Si lascia portare dall’onda e… succeda quel che deve succedere! Avrà bisogno di tutta la flessibilità dello Spirito che “piega ciò che è rigido” per sopportare uno sconvolgimento del genere e lasciarsi portare da una preghiera che egli non comprende e della quale quasi si rallegra di non comprendere nulla.

In effetti, questo aldilà della preghiera supera i limiti del comprensibile e l’uomo sembra allora perdersi in una nube più tenebrosa di quella che guidava gli ebrei nel deserto … In certi giorni il pesante silenzio di Dio è insopportabile e il cuore è come avvolto in una cappa di disperazione. Dio viene sentito come terribilmente assente, a livello della coscienza, ma vi è come un filo conduttore molto misterioso che fa supporre la sua presenza al di qua o al di là della sofferenza. Sì, vi è un aldilà della preghiera… “anche se fonda è la notte”

Fintanto che si parla di cose umane si può ancora credere che ciò che si dice abbia importanza; ma riguardo a Dio e alla preghiera dello Spirito in noi la cosa interessante è ciò che non si dice, ciò che non si vede, ciò che non si sa. Questa zona dell’impensabile non è più oggetto di riflessione ma di contemplazione, una sorta di punto interrogativo, di lungo grido silenzioso: “Mio Dio, chi sei. Per dire qualcosa che valga la pena di ascoltare bisognerebbe parlare della preghiera come facevano i padri della chiesa, o Giovanni della Croce, o Teresa d’Avila. Ma pur dicendo cose bellissime, essi si affrettavano a dimenticarle, perché il loro sguardo era orientato altrove. Ed è appunto per questo che dicevano cose così belle. Ogni parola sulla preghiera ci conduce fin sulla soglia del mistero, là dove non vi sono più sentieri tracciati e dove solo lo Spirito ci fa scrutare il mistero delle profondità divine.

Jean Lafrance, La preghiera del cuore

Uomo prepara incessantemente il tuo cuore

Leggi tutto: Uomo prepara incessantemente il tuo cuoreQuando pensiamo alle cose di Dio o che a Dio conducono e la volontà progredisce fino a diventare amore, subito, nella via dell’amore, lo Spirito santo, che è Spirito di vita, vi si infonde e vivifica tutto, venendo in aiuto alla debolezza di colui che pensa, sia nella preghiera, sia nella meditazione, sia nello studio … E allora si formulano pensieri su Dio in modo corretto, anche alla maniera umana. Tuttavia, questo modo di formulare pensieri su Dio non dipende dall’arbitrio di colui che pensa, ma dalla grazia di colui che dona, cioè quando lo Spirito santo, che soffia dove vuole, quando vuole, come vuole e su chi vuole, soffia in tale direzione. Ma sta all’uomo preparare incessantemente il proprio cuore, sciogliendo la volontà dai vincoli degli affetti estranei, la ragione o l’intelletto dalle preoccupazioni, la memoria dalle opere oziose o da quelle frenetiche, e talvolta anche da quelle necessarie. Così che, quando nel giorno favorevole del Signore e nell’ora del suo beneplacito egli avrà udito la voce dello Spirito che soffia, quegli elementi che formano i pensieri accorrano immediatamente tutti assieme e nella libertà, e cooperino al bene, e divengano come un’unica cosa per la gioia di colui che pensa, mentre la volontà presenta un puro sentimento d’amore per la gioia del Signore, la memoria una materia fedele, l’intelletto un’esperienza soave … Per questo l’uomo che vuole amare Dio, o che già lo ama, deve consultare sempre il proprio animo ed esaminare la propria coscienza per vedere che cos’è che egli desidera

L’amore, infatti, è una grande volontà orientata verso Dio. Quanto poi all’unità dello spirito con Dio, per l’uomo che ha levato in alto il proprio cuore essa è la perfezione della volontà di colui che avanza verso Dio, quando ormai non solo vuole ciò che Dio vuole, ma, poiché non solo ne è afferrato, ma in questo esserne afferrato e reso perfetto, egli non può volere nient’altro se non ciò che Dio vuole. Volere ciò che Dio vuole: questo è ormai essere simili a Dio. Non poter volere se non ciò che Dio vuole: questo è ormai essere ciò che Dio è, lui, per il quale il volere e l’essere sono una stessa cosa. Per cui si dice bene che solo allora lo vedremo così com’è, quando cioè saremo simili a lui, quando saremo ciò che egli è. A coloro, infatti, a cui è stato dato il potere di diventare figli di Dio, è stato dato il potere non certo di essere Dio, ma di essere tuttavia ciò che Dio è, di essere santi, di essere in futuro pienamente beati, poiché Dio.

È questa e la loro perfezione: la somiglianza con Dio. “Non voler essere perfetto, poi, e peccare”. Per questo, in vista di tale perfezione, la volontà va sempre alimentata e l’amore predisposto con cura; la volontà va costretta a non disperdersi su altro, l’amore va custodito perché non si inquini. Solo a tal fine, infatti, siamo stati creati e viviamo: per essere simili a Dio, poiché a immagine di Dio siamo stati creati.

Guglielmo di Saint-Thierry, Lettera d'oro

Le tentazioni: venti che ci riportano a Dio

Leggi tutto: Le tentazioni: venti che ci riportano a DioDove c’è la provvidenza di Dio, tutto quello che avviene è senz’altro buono e utile all’anima, perché tutto ciò che Dio fa con noi, lo fa per il nostro bene, perché ci ama e ha cura di noi. E dobbiamo, come ha detto l’Apostolo, in ogni cosa rendere grazie alla sua bontà (cf. 1Ts 5,18) e non scoraggiarci o abbatterci dinanzi a ciò che accade, ma accogliere gli eventi senza lasciarci turbare, con umiltà e speranza in Dio.

Se uno ha un amico ed è certo di essere da lui amato, qualsiasi cosa l’amico gli faccia patire, per quanto penosa, pensa che l’abbia fatta per amore e non crede mai che l’amico voglia fargli del male; quanto più riguardo a Dio, che ci ha creato, ci ha portato dal non essere all’essere, che per noi si è fatto uomo ed è morto per noi, dobbiamo pensare che tutto quello che fa con noi lo fa per bontà e amore! … E così, dunque, di Dio sappiamo che ci ama e ha cura della sua creatura, e che lui è la fonte della sapienza e sa come provvedere alle nostre cose, che nulla gli è impossibile ma tutto è sottomesso alla sua volontà. Dobbiamo anche sapere che tutto quello che fa, lo fa per il nostro bene, e anche se è motivo di sofferenza, dobbiamo accoglierlo con rendimento di grazie, come abbiamo detto prima, come proveniente da un Signore benevolo e buono, perché tutto avviene per un giusto giudizio, e Dio, che è così misericordioso, non guarda con indifferenza la tribolazione che ci coglie.

Ma siamo noi a non avere pazienza, a non voler fare un po’ di fatica, a non accettare di accogliere qualunque cosa con umiltà; e, quanto più cerchiamo di sfuggire alle tentazioni, tanto più ne sentiamo il peso, ci scoraggiamo e non riusciamo a liberarcene … Le tentazioni sono di grande utilità per chi le sopporta senza turbarsi.

Le tribolazioni infatti muovono la misericordia di Dio per l’anima così come i venti muovono la pioggia. E come la pioggia abbondante fa marcire il seme se il suo germoglio è ancora fragile, e gli fa perdere il suo frutto, e i venti, invece, poco per volta lo fanno asciugare e lo irrobustiscono, così avviene anche per l’anima. La rilassatezza, l’assenza di preoccupazioni, il riposo la rendono fiacca e dissipata, le tentazioni invece la rafforzano e la uniscono a Dio, come dice il profeta: Signore, nella tribolazione ci siamo ricordati di te (Is 26,16). E così, come abbiamo detto, non dobbiamo turbarci né scoraggiarci nelle tentazioni, ma pazientare, rendere grazie e supplicare Dio sempre con umiltà perché abbia misericordia della nostra debolezza e ci protegga da ogni tentazione a sua gloria.

Vai al libro: Doroteo di Gaza, Comunione con Dio e con gli uomini

Laviamo le nostre vesti e partecipiamo al banchetto

Leggi tutto: Laviamo le nostre vesti e partecipiamo al banchettoVedo che molti partecipano al corpo di Cristo in modo superficiale e così come capita, facendolo più per abitudine e tradizione che per riflessione e intima convinzione. Quando è venuto il tempo della santa Quaresima, dice qualcuno, in qualunque condizione uno si trovi, può partecipare ai santi misteri, così come nel giorno dell’Epifania. Eppure non è questo il momento opportuno per accostarsi, perché né l’Epifania, né la Quaresima rendono degni di accostarsi, ma solo la sincerità e la purezza dell’anima! Se le possiedi, accostati sempre; altrimenti, non farlo mai …

Tu, accostandoti al sacrificio di fronte al quale perfino gli angeli rabbrividiscono, ne circoscrivi l’azione a determinati periodi di tempo? E come potrai presentarti davanti al tribunale di Cristo, se sei così audace da toccare il suo corpo con mani e labbra contaminate? Tu che non oseresti baciare un re terreno con l’alito cattivo, vuoi baciare il Re del cielo con l’anima maleodorante? Questo è un vero affronto! Dimmi: oseresti accostarti al sacrificio con le mani non lavate? Non credo. Preferiresti semmai non accostarti affatto, piuttosto che farlo con le mani sporche. Ebbene, tu che sei così scrupoloso per una piccola cosa, ti accosti con l’anima insozzata e hai l’ardire così di toccare il corpo del Signore? Eppure tra le mani viene tenuto solo per un momento, mentre nell’anima esso viene assorbito completamente. E allora? … Vedo una grande incoerenza in questo comportamento …

Rifletti, ti prego. La mensa regale è qui presente, ci sono gli angeli che servono, c’è il Re in persona, e tu resti in piedi sbadigliando? Hai le vesti sudicie e non hai alcuna giustificazione? Oppure le tue vesti sono pulite? Allora siediti a mensa e prendi parte al banchetto! Il Signore viene ogni giorno a vedere i commensali e a parlare a tutti. Anche ora dice alla coscienza di tutti: “Amici, come potete star qui senza avere l’abito nuziale?” (cf. Mt 22,12)21. Egli nella parabola non ha detto: “Perché ti sei seduto a mensa?”, ma gli disse che era indegno di entrare, ancor prima che di sedersi. Non gli ha detto infatti: “Perché ti sei messo seduto?”, ma: “Perché sei entrato?”. Questo è ciò che egli dice anche adesso a noi tutti che ce ne restiamo in piedi in modo impudente e sfrontato. Chiunque infatti non partecipa ai misteri, resta in piedi in modo impudente e sfrontato …

(Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera agli Efesini 3,4-5)

Vai al libro: Entrare nei misteri di Cristo

"Libertà a immagine di Dio"

Leggi tutto: Ogni uomo è una persona unica, dissimile e irripetibile: è un’alterità esistenziale. Tutti gli uomini hanno una natura o essenza comune ma essa esiste solo come alterità personale, come libertà e autotrascendimento delle determinazioni naturali e della necessità naturale …

La creazione dell’uomo è opera dell’amore di Dio, non della “sua buona disposizione” ma del suo amore che costituisce l’essere come fatto esistenziale di comunione e relazione personali. L’uomo è stato creato per comunicare al modo personale di esistenza, cioè alla vita di Dio, e per partecipare alla libertà dell’amore che è la “vera vita” … Certo, l’uomo non smette di essere creatura: la sua natura è una natura creata; la sua individualità naturale è corruttibile e mortale. Ma in questa natura creata e mortale Dio ha impresso la “sua immagine”, “ha soffiato un alito di vita” (Gen 2,7), la possibilità della vera vita al di là dello spazio, del tempo e della necessità naturale …

La verità della relazione personale con Dio, positiva o negativa, ma sempre relazione esistenziale, è la definizione dell’uomo, il modo nel quale l’uomo è. Egli è un fatto esistenziale di relazione e comunione, è “persona”: ciò significa che ha il volto verso qualcuno o verso qualcosa, è davanti a qualcuno o a qualcosa (“in relazione”, “in rapporto”). La natura umana creata in ogni sua realtà personale è “davanti” a Dio, esiste come rapporto e relazione con Dio.

L’alterità personale costituisce l’immagine di Dio nell’uomo: è il comune modo di esistenza di Dio e dell’uomo, l’ethos della vita trinitaria che è stato impresso nell’esistenza umana. Nell’ambito della chiesa e della teologia ortodosse vediamo l’uomo come immagine di Dio e non Dio come elevata e assolutizzata immagine dell’uomo. La rivelazione del Dio personale nella storia ci manifesta la verità dell’uomo, il suo ethos, la nobiltà della sua origine.

 Christos Yannaras, La libertà dell’ethos

Vivere altrimenti

Chi siamo noi monaci? Siamo quelli che comprendono le cose, la realtà, il mondo altrimenti. E siccome comprendiamo altrimenti, viviamo anche altrimenti …

Noi monaci siamo là e non abbiamo uno scopo, se non quello di tentare di vivere l’evangelo. Non abbiamo nessuna funzione particolare nella chiesa; altri sono nella chiesa per fare qualcosa: i vescovi e i presbiteri per governare il popolo di Dio, i frati per predicare, le suore per aiutare i poveri e i malati… I monaci sono senza un’opera specifica, non hanno nulla da fare in particolare, nessuna meta, nessun traguardo nella loro vita. Non si fa carriera nella vita monastica, non ci sono promozioni: si resta sempre fratelli e sorelle, poveri laici. “Noi siamo semplici laici senza importanza”, come diceva Orsiesi, discepolo di Pacomio, al vescovo Teofilo di Alessandria.

Quanto all’amore, anche qui c’è un altrimenti. Mentre nella vita normalmente prima si conosce qualcuno e poi lo si ama, i monaci decidono di amare l’altro prima di conoscerlo: l’altro è l’ospite, è il viandante, è colui che chiede di entrare in comunità. Quest’accoglienza universale è possibile anche perché sono celibi. Vivere il celibato dà inoltre ai monaci una libertà e una possibilità ulteriore e diversa di interiorizzazione, di pensiero, di solitudine e di silenzio: tutti strumenti per fare una vita monastica che è ricerca di Dio (cf. Regola di Benedetto 58,7) e, insieme, ricerca dell’uomo (cf. Regola di Benedetto, Prologo 15).

Ogni monaco rinuncia a possedere in proprio qualsiasi cosa. Tutti i beni sono comuni e tra i monaci non circola denaro … Lavorano tutti, per guadagnarsi da vivere e non dipendere da nessuno: tra di loro c’è chi guadagna poco e chi guadagna molto, ma questa differenza non significa nulla nelle relazioni perché tutto è messo in comune, senza che chi guadagna possa trattenere qualcosa per sé. Inoltre tutti, intellettuali e no, fanno lavori manuali: cucinare, lavare i piatti, pulire le case, fare lavori nel bosco o nell’orto. È in queste relazioni, in queste condizioni diverse e diseguali che i monaci tendono all’uguaglianza e alla fraternità, cercando sempre di vivere il primato del comandamento nuovo. Così facendo, giorno dopo giorno imparano ad amare, si esercitano nell’amore, si sentono un corpo, gli uni membra degli altri (cf. Rm 12,5; 1Cor 12,20; Ef 4,25) …

I monaci amano la notte e vivono la notte prima del giorno. Alla sera presto (verso le 20) entrano in cella e vanno a riposare, ma al mattino (tra le 2,30 e le 4,30, a seconda dei monasteri) si svegliano anticipando la luce del giorno e vegliano. Vegliare è la lampada della vita monastica. Non ci si alza presto per fare penitenza, ma per vivere la notte, quel tempo benedetto in cui si è soli, c’è assoluto silenzio e si può ascoltare Dio che parla al cuore. Di giorno il monaco incontra i fratelli, gli ospiti, gli uomini; di giorno il monaco lavora e prega con gli altri fratelli; ma tutto questo avviene dopo alcune ore passate a vegliare nella notte in attesa del giorno.

Questi elementi che costituiscono l’altrimenti della vita monastica convergono in un’istanza centrale, che li riassume e li ri-significa: i monaci vogliono essere una memoria della communitas, un antidoto alle forze centrifughe, disgreganti, individualistiche. Tutto è per loro comune, e la stessa personalità del singolo non deve diventare singolarità contro gli altri o senza gli altri.

Enzo Bianchi, Nella libertà e per amore

Chiesa: unità di tutta la creazione in Cristo

Leggi tutto: Chiesa: unità di tutta la creazione in CristoLa chiesa è cattolica non perché obbedisce a Cristo, perché cioè compie certe azioni o si comporta in una certa maniera: essa è cattolica prima di tutto perché è il corpo di Cristo. La sua cattolicità dipende non da se stessa, ma da lui. È cattolica perché si trova dove c’è Cristo. Possiamo comprendere la cattolicità come una dimensione ecclesiologica, soltanto se la comprendiamo come una realtà cristologica …

Il carattere cristologico della cattolicità risiede nel fatto che la chiesa è cattolica non in quanto comunità che ha di mira un certo scopo etico (l’apertura, il servizio al mondo, eccetera), ma come comunità che sperimenta e rivela l’unità di tutta la creazione, a tal punto che questa unità costituisce una realtà nella persona di Cristo. Per essere credibili, questa esperienza e questa rivelazione suppongono un certo éthos cattolico, ma non c’è cattolicità autonoma, non c’è éthos cattolico che possa essere compreso in se stesso. Sono l’unità e la cattolicità appartenenti a Cristo che la chiesa rivela nel suo essere cattolica. Questo significa che la cattolicità propria della chiesa non è né un dono da possedere né un ordine oggettivo da realizzare, ma una presenza, una presenza che unisce in un’unica realtà esistenziale simultaneamente ciò che è dato e ciò che è ricercato, la presenza di colui che è garanzia in sé della comunità e della creazione intera poiché è esistenzialmente incluso nelle due. La chiesa è cattolica unicamente per il fatto che si trova dove c’è questa presenza (cf. Ignazio di Antiochia), cioè è inseparabilmente unita a Cristo, e ne costituisce la vera presenza nella storia.

Divenire anche solo simbolicamente per il mondo un segno reale della cattolicità della chiesa nella storia è opera dello Spirito santo … La sua vocazione alla cattolicità è una chiamata non a una progressiva conquista del mondo, ma a un’esperienza “kenotica” di lotta contro i poteri demoniaci anti-cattolici, e a una sottomissione continua al Signore e al suo Spirito. Una chiesa cattolica nel mondo, per quanto possa essere certa della vittoria di Cristo sul divisore, vive nell’umiltà e nel servizio, e soprattutto in una preghiera e in un culto costanti. Il modo con cui la cattolicità della chiesa è rivelata nella comunità eucaristica mostra che l’essenza ultima della cattolicità risiede nel superamento di tutte le divisioni in Cristo.

Vai al libro: Ioannis Zizioulas, L’essere ecclesiale