Inizio dal desiderio di restituire dignità e bellezza, anche da un punto di vista credente, alla parola “innamorarsi”. Una parola che appartiene a tutti, a ogni esperienza umana: nell’esperienza di tutti è la vicenda dell’innamorarsi. Già questa è una meravigliosa intuizione! Volendo ripulire l’affresco dai pregiudizi, dai sospetti, dalle distorsioni che ne hanno velato i colori e la bellezza, mi sono detto che avrei potuto farlo percorrendo un libro della Bibbia, che ha avuto la sorte che può toccare alla parola “innamorarsi”. Il Cantico dei cantici narra l’esperienza di due innamorati.
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Separate a partire dal xvi secolo, le chiese cristiane a varie riprese hanno tentato di ritrovare la loro unità, e il xx secolo ha conosciuto la grande impresa ecumenica, piena di successi in ciò che concerne l’esaustività dei dialoghi teologici, ma con troppo poche conseguenze per la realtà del vissuto ecclesiale condiviso. Come proseguire nel XXI secolo nella speranza di un raggiungimento dell’unità?
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Giovanni, non è semplicemente il profeta che chiamò a conversione, ma è l’uomo chiamato lui stesso a conversione. Giovanni fu convertito da Gesù. Avvenne in lui un dirottamento. E Giovanni si è concesso al dirottamento, si è lasciato dirottare. Dirottare dall’essere centrato in se stesso all’essere decentrato, decentrato verso il Veniente: “Giovanni gli dà testimonianza e proclama”. Proclama, alza la voce. Alza la voce per un altro. Proclama che è un altro colui che conta …
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E l’angelo parlava, dandosi da fare
attorno all’uomo – e lui serrava i pugni:
“Ma tu non vedi, no, che in ogni piega
fredda è lei come divina alba...”.
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