Contatti e informazioni

Segreteria organizzativa - Convegno liturgico

Monastero di Bose
I-13887 Magnano (BI)
Tel. +39 015.679.185
Fax +39 015.679.294

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Per partecipare

Per l’iscrizione al Convegno è necessario telefonare alla Segreteria organizzativa (Tel. +39 015 679 185) e inviare successivamente pdfla scheda di iscrizione entro il 20 maggio 2018. Si ricevono le iscrizioni al convegno fino ad esaurimento dei posti disponibili.

QUOTA DI ISCRIZIONE
€ 60,00 (non rimborsabili), da effettuare tramite CCP n. 10463131 - I
BAN IT75H0760110000000010463131 intestato a “Comunità monastica di Bose” (causale: “Iscrizione Convegno liturgico”) entro il 20 maggio 2018.

pdfla scheda di iscrizione

QUOTA DI PARTECIPAZIONE
€ 160,00 (in aggiunta alla quota di iscrizione). Sono comprese le spese di vitto e alloggio. L’ospitalità sarà assicurata presso il Monastero e presso alcune strutture nelle vicinanze di Bose.

Per chi partecipa in giornata è richiesta la quota di € 20,00 per ogni pasto.

CREDITI FORMATIVI PROFESSIONALI
Questo convegno è stato accreditato presso il Consiglio nazionale architetti piani catori pae- saggisti e conservatori (CNAPPC) ed è valido per gli iscritti a tutti gli Ordini in Italia. Sono stati assegnati 15 crediti formativi professionali (CFP).

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AGEVOLAZIONI ECONOMICHE
Per gli studenti di teologia e di architettura previo contatto con la Segreteria.

TRADUZIONI SIMULTANEE
E' assicurata la traduzione simultanea in Italiano, Inglese e Francese

La morte dolce delle cattedrali - Osservatore Romano

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Monastero di Bose
Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto – Cei
Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori

XVI CONVEGNO LITURGICO INTERNAZIONALE
ARCHITETTURA DI PROSSIMITÀ

Idee di cattedrale, esperienze di comunità

BOSE, 31 maggio - 2 giugno 2018


Osservatore Romano
di Sergio Massironi

Non sono parole di circostanza, quelle pronunciate da Enzo Bianchi giovedì scorso. Molte volte, nella storia, dal mondo monastico si sono alzate voci capaci di risvegliare la Chiesa tutta. Così a Bose, inaugurando i lavori del sedicesimo Convegno liturgico internazionale, un semplice battezzato ha richiamato alle proprie responsabilità fedeli e pastori. Rispetto a un tema minore, ma in realtà cruciale — e non solo simbolicamente — per il destino del cristianesimo: il rapporto tra cattedrali e città. Questione oggi colta e studiata più nel suo rilievo urbanistico e sociologico che in quello ecclesiale. Bianchi ricostruisce lo sfondo necessario a un recupero di lucidità e di coraggio. Cita Ignazio di Antiochia — «Là dove c’è il vescovo, là ci sia la comunità, allo stesso modo che là dove c’è Cristo, la è la chiesa cattolica» (Agli smirnesi 8, 2) — per illuminare la natura comunitaria del tema. Descrive il passaggio «alla chiesa “unica” nel suo territorio, nella sua città, in una regione, come unico dovrebbe essere l’altare e unico il vescovo. È in questa chiesa, chiamata prima domus ecclesiae, da cui “duomo”, che nell’VIII secolo in Occidente si individuerà il luogo della cattedra episcopale, definendo dunque la chiesa come chiesa cattedrale. La cattedrale non è simbolo di una parte o porzione della Chiesa, ma della Chiesa nella sua totalità».

Bianchi scuote le coscienze circa lo stato di salute di una fede che ha generato capolavori artistici e sistemi urbani da cui sembra essersi colpevolmente disconnessa, almeno nell’azione pastorale: «In molti casi abbiamo assistito a un’espropriazione della cattedrale della Chiesa locale, ridotta a un museo per turisti, soprattutto dove essa è monumento, opera d’arte; questo però non è avvenuto senza responsabilità del vescovo stesso e di quanti potevano mostrarsi critici verso tale deriva». Com’è potuto accadere? Ed è realmente un problema minore, come appare sul piano strettamente funzionale?
Don Valerio Pennasso, direttore dell’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della Cei, rispondendo approfondisce: «Come Chiesa ci siamo lasciati un po’ condurre e prendere in braccio da altri soggetti, ritenendo che i nostri beni e le nostre feste fossero un peso: un peso per le manutenzioni, un peso per le attività pastorali, perché molto impegnativi da gestire». L’osservazione per cui alcune cattedrali italiane sono diventate meri oggetti culturali, a discapito della vita ecclesiale, «è calzante: ne stiamo parlando e cerchiamo di sensibilizzare le comunità locali, affinché si rendano conto di un patrimonio che può essere veramente strumento di dialogo e di evangelizzazione, se non si delega ad altri la responsabilità di utilizzarlo, col rischio di snaturarne significato e ruolo».

Secondo il fondatore di Bose, il punto chiave «è vivere la cattedrale da parte della comunità cristiana, che oggi invece raramente sente e discerne il significato della chiesa del vescovo, fulcro della Chiesa locale». Ubicate talvolta in posizioni irraggiungibili, in zone disabitate o riservate a uffici, le cattedrali chiedono di essere ripensate: «Nella situazione attuale dobbiamo forse porci molte domande e accettare di non avere sempre delle risposte prefabbricate o provenienti dal passato». Che cosa deve essere la chiesa del vescovo, dove il cattolicesimo non regge più la società? Quale duomo per comunità missionarie, che hanno da raggiungere le persone là dove sono? In una Chiesa sinodale, cosa significa la cattedrale? Bianchi non profetizza la dismissione di edifici storici o un trasloco dei vescovi in parrocchie di periferia, tuttavia s’interroga sulla passività che ha lasciato cadere un simbolo di tale forza in una ripetitività senz’anima. «Certo, si tratta di instaurare una nuova consapevolezza del vivere la Chiesa; di armonizzare l’enfasi ipertrofica con cui si è pensato e si è imposto il vescovo a partire dal Vaticano II con un’ecclesiologia pratica della Chiesa locale nella quale tutto il popolo di Dio presente nello stesso luogo diventa icona della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, radunata nello Spirito santo attraverso l’eucaristia che costantemente la genera e la edifica. O la cattedrale è il simbolo eloquente dell’unicità della Chiesa locale e della comunione con le altre Chiese dell’orbe, oppure è ridotta a luogo-santuario, a memoria del passato, a museo-monumento. Così però non vive più del ministero di cui è soggetto: indicare, fare segno all’apostolicità della Chiesa, anche quando non c’è il vescovo sulla cattedra, ma lo si attende».

Allora occorre agire, non voltarsi dall’altra parte: «Perché non si cerca di instaurare, nell’attuale situazione di diaspora, una prassi consapevole di cristiani maturi nella fede, che puntualmente (per la festa della dedicazione e la festa della chiesa locale) si rechino alla cattedrale per manifestare la comunione della loro parrocchia o comunità con il vescovo e con le altre comunità? La cattedrale, essendo luogo simbolico dell’appartenenza al popolo dei credenti, alla Chiesa locale, deve poter accogliere comunità, gruppi di cristiani, parrocchie rette da religiosi eccetera, che hanno doni e cammini diversi in una comunione visibile, intorno al vescovo». A volte non è così e il raggiungerla come pellegrini si rivela un disturbo alla sua cristallizzata routine liturgica e al monetizzato flusso di visitatori. Osserva Pennasso: «Sarebbe interessante — e le risorse economiche dei vescovi italiani ne darebbero la possibilità — partire da alcune cattedrali, ripensando non soltanto la collocazione dell’altare, della cattedra, dell’ambone, ma vedendo l’intervento come occasione per riformulare, rifondare, ricostruire la vita della Chiesa come comunità […]. Le cattedrali sono visitate da tante persone che vi entrano solo per l’aspetto storico culturale, ma anche questa è un’occasione per intessere dialoghi e relazioni»: si tratta di investire «da una prospettiva molto più ampia e complessiva, non semplicemente tecnico-funzionale ed economica».

Questo comporta, anche in tempi di spending review, l’audacia di visioni profetiche dei vescovi con la loro Chiesa. La tentazione di lasciar prevalere sul discernimento pastorale i diktat di economati, uffici amministrativi, avvocature, sovrintendenze è comprensibile. Tuttavia, tecnico è strettamente il compito di configurare soluzioni a servizio di una missione in cui sono il rapporto col vangelo e con i fedeli a dover decidere le priorità di bilancio e di azione. Osservando una cattedrale — non tanto nella sua magnificenza, quanto nel suo funzionamento feriale — si capisce che cosa crediamo e quale Dio oggi serviamo.

Cattedrale di prossimità - Osservatore Romano

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Monastero di Bose
Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto – Cei
Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori

XVI CONVEGNO LITURGICO INTERNAZIONALE
ARCHITETTURA DI PROSSIMITÀ

Idee di cattedrale, esperienze di comunità

BOSE, 31 maggio - 2 giugno 2018


Sarà Mario Botta con una relazione sulla cattedrale come metafora dell’architettura a concludere sabato 2 giugno presso il monastero di Bose il sedicesimo convegno liturgico internazionale. I lavori inizieranno il 31 maggio con l’intervento del fondatore Enzo Bianchi. Il convegno è dedicato quest’anno alla «architettura di prossimità», indagando, come recita il sottotitolo, su «idee di cattedrale» ed «esperienze di comunità». Infatti, all’attuale fase di adeguamenti liturgici delle cattedrali non può non corrispondere anche una rinnovata visione dell’esperienza della comunità cristiana. Non solo. Come spiegano gli organizzatori, l’architettura cristiana è chiamata a iscriversi all’interno di una sociologia urbana e a interagire con essa, consapevole dei luoghi contemporanei di socialità in città, tra presenze monumentali centralizzanti», come musei e piazze, «e diffusione di luoghi informali o non-luoghi», come gli attuali centri commerciali. All’incontro, promosso dalla comunità monastica biellese in collaborazione con l’ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della Conferenza episcopale italiana, partecipano teologici, esperti e docenti provenienti da Stati Uniti, Francia, Spagna, Germania, Paesi Bassi, Belgio, Austria e Italia. Anticipiamo stralci degli interventi di tre relatori.


Osservatore Romano
di Goffredo Boselli

La cattedrale è il luogo fisico e simbolico più elevato della presenza della Chiesa in una regione. Nella sua tangibile materialità concentra e rappresenta la storia della presenza cristiana in quella terra e, nelle tracce archeologiche che di frequente la cattedrale conserva, custodisce gli inizi e le fondamenta della presenza cristiana in quella regione. Per questo, la cattedrale è la diocesi stessa, è il locus per antonomasia della Chiesa locale, della sua storia di fede e di cultura di cui le epoche storiche che si sono succedute con i loro stili, le evoluzioni liturgiche, le devozioni e le pratiche hanno lasciato segni e tracce indelebili iscritte negli spazi e sulle pareti. Per questo, la cattedrale è il microcosmo della fede del popolo dei credenti di quel territorio, che attraverso i secoli non solo ha vissuto e testimoniato la sua fede, ma che l’ha voluta e saputa anche confessare attraverso le tante capacità non solo architettoniche e artistiche ma anche artigianali e manuali che hanno messo in azione attorno a essa.

Le cattedrali sono probabilmente la sintesi e la più alta espressione di ciò che la fede cristiana può realizzare a livello architettonico e artistico. Più esattamente le vette che in occidente si sono raggiunte quando la fede cristiana ispira la genialità e la creatività dell’essere umano, quando promuove, incoraggia, coltiva e sostiene l’insieme della arti. Nelle più grandi cattedrali come in quelle più modeste si può raggiungere la totalità delle arti classiche convocate al servizio della fede e della liturgia: l’architettura, la scultura, la pittura, l’oreficeria, la vetreria, la lavorazione dei marmi, delle pietre, dei tessuti alle quali si aggiungo il canto, la musica e perfino l’arte oratoria. Davvero si intuisce il sentimento che il salmista voleva esprimere esclamando che nel tempio di Gerusalemme «tutto grida gloria» (Salmi, 29).

Questa è la ragione per la quale è improprio affermare che la cattedrale è anzitutto un luogo liturgico e solo successivamente un’opera architettonica e artistica, quasi che il rito, l’architettura e l’arte fossero elementi semplicemente giustapposti e autonomi uno dall’altro. La cattedrale è il centro spirituale e liturgico della diocesi non solo perché in essa il vescovo presiede i riti liturgici più solenni ma perché l’architettura e le arti sono esse stesse espressione spirituale e liturgica. La liturgia, infatti, non può essere ridotta al mero rito celebrato con le sue norme, ma è un dato permanente iscritto nelle pietre, nelle forme, negli spazi, nella luce, nei suoni e in tutti gli elementi che fanno una chiesa e dunque partecipano attivamente all’atto celebrativo.

Il Caerimoniale episcoporum afferma: «Le celebrazioni presiedute dal vescovo non sono un semplice apparato di cerimonie ma manifestano il mistero della Chiesa alla quale Cristo è presente. Pertanto queste celebrazioni siano un esempio per tutta la diocesi» (n. 12). Se dunque è compito proprio delle liturgie del vescovo di essere «un esempio per tutta la diocesi», questa esemplarità non può venir meno anche nelle altre celebrazioni che avvengono nella cattedrale. È il valore e il significato della chiesa madre della diocesi che lo richiede e non semplicemente la presenza o meno del vescovo.

Alla grande attenzione che in questi anni si ha verso il valore storico, architettonico e artistico delle cattedrali, con il conseguente impegno di rinnovamento dello spazio liturgico e dei suoi poli, deve corrispondere e seguire un altrettanto impegno nella cura e nella bellezza delle liturgie che in esse sono celebrate. Alla qualità architettonica e artistica talvolta uniche delle nostre cattedrali deve corrispondere anche la qualità liturgica delle sue celebrazioni. Non è sufficiente rinnovare lo spazio liturgico se poi le liturgie che vi si celebrano non sono all’altezza del luogo, non solo quelle presiedute dal vescovo ma anche quelle che ordinariamente si celebrano, specie quelle domenicali. «La chiesa cattedrale deve essere considerata il centro della vita liturgica della diocesi», raccomanda il Caerimoniale episcopurum (n. 44). Si è talvolta assaliti da sentimenti di sconforto e smarrimento nel constatare l’evidente stridore tra la straordinaria bellezza del luogo e la sciatteria della celebrazione, la grandezza di quello spazio e la miseria di quel rito, l’armonia delle forme architettoniche e la stonatura dei canti e delle musiche. È responsabilità della Chiesa celebrare liturgie all’altezza della magnificenza delle cattedrali che la storia ci ha consegnato. Quella storia che ci insegna che l’eloquenza della fede non sta solo nella parola della predicazione o nell’atto di carità, ma anche nella bellezza del gesto rituale, nell’armonia del canto e della musica, degli spazi e dell’arte per la liturgia.

Far vivere le nostre cattedrali oggi, riconoscere intatto il loro valore e il loro significato vuol dire anche garantire a esse liturgie degnamente celebrate. Se le diocesi compiono oggi grandi sforzi nei restauri e nei rinnovamento degli spazi liturgici della cattedrale, devono anche investire economicamente nella professionalità dell’organista, in quella del cantore, del maestro di coro, nella selezione e una seria formazione della schola cantorum. Almeno per le liturgie delle cattedrali non si dovrebbe acconsentire in alcun modo al livello amatoriale, all’improvvisazione e alla buona volontà generalmente mirabili per dedizione ma deplorevoli per i risultati. Domandiamoci: anche per il mondo cattolico si è costretti a dire ciò che nel suo Journals Alexander Schmemann lamentava di quello ortodosso per lui diventato «incosciente delle ricchezze fondatrici della sua liturgia»?

In ogni diocesi, almeno quelle con maggiori mezzi e possibilità, la vocazione oggi delle cattedrali è quella di essere la chiesa dove si può fare esperienza della bellezza della liturgia. Soprattutto per le persone, e sono tante, con spiccato senso estetico, particolarmente sensibili alla bellezza del canto e della musica, del rito celebrato con cura senza per questo essere lezioso e artificiale. Risuona a un tempo come un monito e un compito indirizzato in primo luogo alle liturgie delle cattedrali quello che Papa Francesco afferma in Evangelii gaudium: «La Chiesa evangelizza con la bellezza della liturgia».