“Riconoscerai dunque che il Signore tuo Dio è lui Dio, il Dio fedele, che mantiene il patto e la misericordia a coloro che lo amano e a coloro che osservano i suoi precetti, per mille generazioni” (Dt 7,9). Pensare Dio, per un credente, è tanto inevitabile quanto impossibile. Impossibile nel senso che, per una vecchia eredità dell’infanzia e di ciò che nell’infanzia ci è stato inculcato, lo pensiamo come onnipotente, creatore, immenso, e così via: tutti “attributi” che ci risultano sostanzialmente vuoti perché la ragione non sa adeguarvisi, l’immaginazione non sa riempirli e la storia li contesta.
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Lo slancio di Dio verso l'uomo, questa iniziativa gratuita, creatrice e ri-creatrice dell'uomo unicamente per la generosità della divina potenza trova il suo nome definitivo nell'agápe di Dio di Giovanni, questo amore di puro dono che non è soltanto uno degli attributi di Dio, ma è in certo modo la sua definizione: “Dio è amore” ci dice la Prima lettera di Giovanni (4,8.16).
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Partiamo da una domanda. Da dove viene lo sguardo di Gesù? Da dove viene il mistero del suo sguardo umano? Certo, potremmo rispondere semplicemente, con la nostra fede, che esso viene dal mistero della sua divino-umanità, del suo essere Figlio venuto a rivelare il volto del Padre … Ma seguire questa via sarebbe in qualche modo arrivare già alla conclusione del nostro discorso, prendendo la scorciatoia e saltando la concretezza della realtà umana di Gesù, quale ci viene mostrata nei vangeli. “La sua divinità – ci ricorda infatti il teologo Joseph Moingt – si rivela proprio nella grandezza della sua umanità”.
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