Fede come fiducia

Normalmente noi utilizziamo i termini “credente” e “non credente” per indicare due gruppi sociali ben definiti: ovunque incontriamo credenti e non credenti; la maggior parte della gente è in grado di dire senza esitare a quale gruppo appartenga. È un po’ come una professione o una nazionalità o uno stato civile; potremmo quasi indicarlo sulla carta d’identità o sulla denuncia dei redditi, come del resto già avviene in alcuni paesi ... Quando parliamo della fede, pensiamo spontaneamente alle verità della fede. Una simile associazione orienta il concetto della fede in una direzione intellettualistica e in parte già lo blocca. Chi parla di verità della fede pensa immediatamente a un manuale di teologia o di catechesi, in cui la parola di Dio è esposta in maniera didattica. Una simile espressione didattica della fede ha ovviamente molta importanza, ed è bene che sia oggetto di estrema cura; ma è altrettanto importante che l’accento venga posto sulla differenza fondamentale tra la fede e un manuale, pur realizzato in modo esemplare. Posso benissimo sapere molto a proposito della fede, e anche condividere molto questa conoscenza con altri, senza mai compiere il passo decisivo della fede, che implica sempre un abbandono esistenziale a Gesù ...


In ebraico, il termine “fede” (emûnah) deriva da emeth, “fedele”, che è uno degli attributi maggiori di Dio. Dio è misericordioso e fedele (cf. Genesi 24,27); potremmo anche tradurre: “tenerezza e saldezza”. Emeth infatti suggerisce l’idea della roccia sulla quale ci si può appoggiare e si può edificare. Dio non viene meno: potremo sempre contare su di lui. Credere significa appoggiarsi su questa saldezza di Dio. Anche “Amen” deriva dalla stessa radice: dire “Amen” significa credere al massimo grado, acconsentire alla saldezza di Dio come questa si impone a noi nella sua Parola o nella persona di Gesù ...
La nostra fede è un movimento verso Dio, una fede che ci scuote e ci trascina, una fede che è esodo da se stessi e immissione in Dio: tale era la fede del centurione. Così ogni giorno posso aggrapparmi alle parole di Gesù che salva e chiedergli: “Di’ soltanto una parola e io sarò guarito”. Una fede simile costituisce uno sconvolgimento radicale: l’uomo è invitato a uscire da se stesso, impara a dimenticarsi e ad abbandonarsi per lasciarsi raggiungere dalla Parola viva e onnipotente di Dio, con tutte le conseguenze che ciò comporta ...


La fede ci apre alla potenza di Dio: siamo liberati nel nostro intimo e il nostro cuore è salvato. È come se Dio aprisse un chiavistello nel nostro io profondo e spalancasse una porta attraverso la quale può farsi breccia per inondarci come un torrente e trascinarci nell’amore e nell’Onnipotenza che ci fa rivivere, similmente a quanto è accaduto il mattino di Pasqua, quando Gesù è resuscitato dai morti in virtù dell’onnipotenza della gloria del Padre. La fede è questo evento sorprendente che si impadronisce non solo della nostra intelligenza, ma di tutto il nostro essere. Ne usciamo rimpiccioliti e, per così dire, come sperduti. Piccoli nei confronti di noi stessi, degli altri e di Dio, eppure mai schiacciati, anzi, liberati ad opera di questa illimitata fiducia in lui “che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare” (Efesini 3,20), e sempre disponibili per i miracoli che il Signore continuerà a compiere attraverso la nostra fede (André Louf, {link_prodotto:id=307}, Qiqajon, Bose 1990, pp. 33-34.38-39.42).

Preparazione al sacramento della penitenza

Leggi tutto: Preparazione al sacramento della penitenza

Leggi tutto: Preparazione al sacramento della penitenza
ARTURO MARTINI, Il figliol prodigo

Preparazione al sacramento della penitenza

Confessione: Tu conosci la mia debolezza

Preghiera

Mio Signore e mio Dio,
tu conosci la mia debolezza,
la mia miseria, il mio peccato
perché sempre mi scruti,
mi conosci, mi provi, mi correggi.
Invia su di me il tuo Spirito santo,
affinché illumini il mio cuore
e io conosca i miei peccati,
mi porti grazia e consolazione
e io pianga le mie colpe,
mi riveli il tuo amore
e io speri nella tua misericordia.
Togli il velo ai miei occhi
e sarò preservato
dal grande peccato dell'orgoglio.


Continua la lettura

Il pentimento: volgersi a Dio con speranza

Leggi tutto: Il pentimento: volgersi a Dio con speranza

Quando ci comportiamo male' e diciamo ciò che non va detto, quando pensieri oscuri mina­no la nostra mente o un velo nero si stende sul nostro cuore, se arriviamo a fare appena appena un po' di luce in noi, allora sentiamo i primi ri­morsi di coscienza. Ma il rimorso non è ancora pentimento; noi possiamo passare tutta la vita a rimproverarci la nostra cattiva condotta in azio­ni o in parole, i nostri pensieri e i nostri sen­timenti tenebrosi, e non per questo emendarci...

Continua la lettura

Vincere in noi ciò che è estraneo a Dio

Leggi tutto: Vincere in noi ciò che è estraneo a Dio

Il giudizio definitivo della nostra coscienza non appartiene né a noi, né a quelli che ci co­noscono, ma a Dio. L'evangelo ci illumina sulla sua parola, sulla sua giustizia; eppure noi rara­mente sappiamo fare riferimento a esso con di­scernimento e con piena trasparenza. Se leggia­mo attentamente le pagine dell'evangelo con sem­plicità di cuore, senza cercare di trarne più di quanto siamo capaci di ricevere...

Continua la lettura

Siete venuti a con­fessare i vostri peccati

Leggi tutto: Siete venuti a con­fessare i vostri peccati

La confessione personale deve limitarsi alla mia persona, perché è il mio destino personale a essere in gioco. Per quanto possa essere imper­fetto il giudizio che proferisco su me stesso, è da qui che bisogna cominciare, e bisogna farlo chiedendosi: di che cosa mi vergogno della mia vita? Quali sono le cose che voglio nascondere di fronte al volto di Dio, o che voglio nasconde­re di fronte al giudizio della mia stessa coscien­za e che mi fanno paura?...

Continua la lettura

Non riesco a staccarmi dai miei peccati!

Leggi tutto: Non riesco a staccarmi dai miei peccati!

Talora si sente dire: "Non riesco a staccarmi dai miei peccati! Se avessi commesso qualche grave peccato forse ne sarei rimasto scosso, ma tutto l'insieme dei miei peccati non pesa su di me più di un velo di polvere. Ci si abitua, come ci si abitua a vivere nel disordine del proprio ap­partamento". Non ci rendiamo conto che certe volte è più difficile sbarazzarsi di una quantità di peccati piccoli che di un solo peccato grave...

Continua la lettura

Accogliere il perdono

Perdonare a se stessi è impossibile. Nessuno ha il diritto di dire: "Ho commesso un peccato, il mio comportamento verso quella tal persona è stato indegno, mi sono macchiato, ma questo appartiene al passato, ora posso non pensarci più". Sarebbe come legittimare la propria con­dizione di peccato, affermare il diritto di essere indegni di se stessi, di Dio, del prossimo, della vita. Per questa ragione l'uomo non può mai perdonarsi da solo, né possiede il diritto di per­donare se stesso. D'altra parte - e questo è al­trettanto importante -, l'uomo deve essere in grado di accogliere il perdono che gli viene ac­cordato. Noi non abbiamo il diritto di respinge­re, di rigettare, di sconfessare il perdono accor­datoci, e accordatoci sempre a un certo prezzo, da Dio o da una persona. Quando la persona che abbiamo offeso, dopo aver superato lo stra­zio della sua sofferenza, ci dice: "Che la pace sia ora tra noi, la ferita che mi hai inflitto si è cica­trizzata, il dolore è passato, avresti potuto ucci­dermi ma per grazia di Dio sono rimasto vivo, ti amo abbastanza per accordarti quella pace che il Signore ha deposto nella mia anima", noi dob­biamo allora essere in grado di fare la pace e di accogliere il perdono.

Spesso è il nostro orgoglio a impedirci di ac­cogliere il perdono: come posso accoglierlo, e nello stesso tempo riconoscermi realmente col­pevole? Sono cosciente che non posso fare nulla per me e che solo colui che ho avvilito, offeso, spogliato, può ristabilirmi nella mia dignità di uomo. Come posso dipendere dagli altri fino a tal punto? Può essere molto difficile accogliere il perdono proprio a causa di questo orgoglio, per­ché noi non vogliamo essere ristabiliti nella no­stra dignità per effetto della compiacenza altrui, vogliamo possedere in noi stessi questa dignità, oppure acquisirne il diritto grazie ai nostri sfor­zi. Ma il diritto al perdono è qualcosa che nes­suno ha mai acquisito con le proprie forze, pro­prio come nessuno ha mai acquisito il diritto di essere amato. Ricevere il perdono significa sem­pre che qualcuno ci ha amato abbastanza da pren­dere su di sé il nostro peccato ed eliminarlo in se stesso. Ecco perché dobbiamo essere pronti a sot­tometterci, a ricevere questa umiliazione salvifi­ca. E solo nella misura in cui potremo riceverla con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra co­scienza, noi saremo sulla via della guarigione.
E così che Cristo ha "guarito" Pietro, cioè ha ristabilito nella sua integrità colui che era cadu­to in pezzi a causa del suo rinnegamento. In cer­to qual modo egli ha raccolto insieme tutti quei pezzi, e ne ha fatto un uomo integro. Questo spiega perché Pietro possa poi parlare con Cri­sto con tanta confidenza, come da pari a pari. Quando il Salvatore gli dice: "Seguimi!" (cf. Giovanni 21,15-23), Pietro lo segue ma, volgendosi, scor­ge a una certa distanza Giovanni e chiede al Sal­vatore: "E a lui che cosa succederà? Tu mi hai restituito alla vita; non ha forse bisogno anche lui di essere restituito alla vita?". Qui il Salva­tore lo riprende con severità: "Quello che farò con lui riguarda me; tu seguimi". Queste parole Gesù le rivolge anche a ciascuno di noi, a condi­zione che siamo passati attraverso questa prova del fuoco, che siamo stati consumati dalla ver­gogna, che abbiamo accettato di accogliere quel dolore acuto e indicibile che può colpirci quan­do prendiamo coscienza della nostra condizione di peccato.

Ha inizio allora la gioia, gioia del pentimen­to. Nel libro del padre Sofronio su Sil­vano del monte Athos l'autore racconta che un ragazzo del villag­gio di Silvano commise in giovinezza un delitto e fu rinchiuso in prigione dove scontò la pena; in seguito Silvano vide questo ragazzo suonare la fisarmonica e danzare a una festa del paese. Rimase scandalizzato e gli si avvicinò per dirgli: "Come puoi danzare e rallegrarti dal mo­mento che hai ucciso un uomo!". E quell'ex cri­minale gli rispose: "E vero; ma mentre ero in prigione mi sono pentito completamente, e d'un tratto ho sentito che Cristo mi perdonava; ora sono una nuova creatura".

Ecco cosa può compiere il pentimento: una vi­ta nuova, una restaurazione, una nascita dall'al­to. Questa può essere anche solo parziale, o sem­plice preludio alla vita eterna, ma alla vita eter­na che viene con potenza e che pervade l'uomo intero.

A Bloom, {link_prodotto:id=338}, Qiqajon, Bose 2002