“Gesù vide Simone e Andrea”

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Non un progetto, ma una persona

Questo vedere ha un carattere di creazione, fonda qualcosa di nuovo e di perenne, significa la meraviglia dell’incontro da persona a persona. A ciò segue un gesto dalle incalcolabili conseguenze, appunto la chiamata. È l’inizio e il fondamento di una relazione duratura, che segna l’intera vita ...

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La chiamata alla sequela

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Soffermiamoci un attimo sul verbo “seguire”. Il termine sequela, fin dall’inizio, aveva un significato assolutamente preciso, anzi materiale: era un camminare dietro a Gesù, che era sempre in movimento, non aveva una sede e svolgeva un ministero itinerante. Chi voleva stare con lui doveva camminare, mettersi in moto. Dunque il seguire è un fatto concreto e materiale oltre che fisico...

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La fede è sempre poca!

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La poca fede non si presenta semplicemente come un’insufficienza quantitativa, una fede che c’è ma non raggiunge la misura necessaria. È una realtà molto più paradossale, un vero e proprio intrecciarsi di fede e incredulità ... Si tratta di una condizione permanente, ineliminabile. La fede è sempre poca! Sul discepolo incomberà sempre l’urgenza di aprirsi a una fede più grande!...

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Il cristianesimo è la religione della libertà

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Il cristianesimo è la religione della libertà. Se Cristo ha rifiutato di mutare le pietre in pane, se ha rifiutato di scendere dalla croce, fu per stabilire in modo definitivo la nostra libertà. La libertà è l’essenza del messaggio evangelico. La fede non soltanto ci libera – dalla paura, dalla morte, dalle potenze e dai potenti del mondo – ma è l’atto supremo della libertà...

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Ciò che è autenticamente umano è anche veramente spirituale

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Nel cristianesimo, dove la parola “Dio” è narrata dall’uomo Gesù, nel cristianesimo, così radicato nella storia e nella stessa carne umana, io trovo quella totale valorizzazione dell’umano che mi porta a dire che ciò che è autenticamente umano è anche veramente spirituale, e che criterio dell’autenticità spirituale è il rispetto della verità dell’umano. In questo senso comprendo l’affermazione neotestamentaria che Gesù Cristo “ci insegna a vivere” (Tito 2,12)...

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Prendere sul serio le domande sul senso della vita

La fede è chiamata a declinarsi come cammino del senso della vita, cioè a prendere sul serio, ma anche suscitare, tenere desta e orientare la domanda sul senso della vita in tutte le sue valenze: significato, direzione, gusto. La sete di senso che abita il cuore dell’uomo non potrà mai essere saziata da un senso imposto dall’esterno o dall’alto. Gli uomini vorrebbero vedere e incontrare dei testimoni del senso, e questo nel momento stesso in cui si mostrano assolutamente allergici a discorsi d’autorità che vorrebbero imporre decaloghi che dicono all’uomo ciò che è bene e ciò che è male, che gli dicono quel che deve o non deve fare. Chi oggi ha autorevolezza è colui che testimonia di un senso possibile perché lui stesso l’incarna. I testimoni del senso sono persone che nella loro stessa vita, nelle loro relazioni, danno realtà al senso della vita che hanno scoperto e a cui si sono asserviti ...
Occorre ricreare oggi una grammatica dell’umano che consenta l’accoglienza della parola di Dio e lo svilupparsi del dono della fede: questo sarebbe veramente un servizio, da farsi dialogicamente con chi attua una lotta anti-idolatrica , anche per altri, i non credenti. Declinare la fede come cammino del senso significa credere e testimoniare che Cristo può orientare il senso della vita e che la sua umanità può umanizzare la nostra ...


Prendere dunque sul serio oggi, nell’opera di trasmissione della fede, le domande umane e la domanda basilare sul senso, non solo non è estraneo al cristianesimo, ma è in linea di continuità con la logica dell’incarnazione. I discepoli hanno dato un senso radicale alla loro vita dopo aver visto l’umanità di Gesù, dopo aver ascoltato le sue umane parole, dopo essere stati testimoni dell’umanità del suo agire, dei gesti di guarigione e compassione con cui egli esprimeva la sua cura dell’umano menomato, e dopo averlo riconosciuto come risorto a partire dai gesti umanissimi con cui egli si è presentato loro: chiama per nome Maria (Giovanni 20,11-18), spezza il pane nel gesto quotidiano della condivisione della tavola (Luca 24,13-35), mangia e parla insieme con loro (Luca 24,36-49)... È dopo aver visto la sua umanità che essi hanno saputo riconoscere e confessare la divinità e ri-orientare la loro stessa esistenza. Questo discorso sul senso non vuole affatto dire che la chiesa ne sia la depositaria o ne abbia il monopolio, anzi! La fede non è una corazza fatta di certezze, non è un sistema di sicurezze e neppure una bacchetta magica: “Il credente esercita la sua fede sull’oceano del nulla, della tentazione e del dubbio: questo oceano dell’incertezza è il solo luogo in cui egli possa esercitare la fede” (Joseph Ratzinger).


La fede è, costitutivamente, anche rischio. Quando parlo della fede come cammino del senso intendo dire che la fede si apre alle dimensioni umanissime del senso stesso e cerca di illuminarlo col suo riferimento fondante e basilare a Gesù Cristo. Dicendo senso intendo significato, cioè ricerca dei motivi, del “perché” delle cose, che porta a comprendere il reale; ma senso dice anche orientamento, direzione, cioè ricerca del come camminare e del fine verso cui dirigersi; implica dunque il livello dell’etica (“come?), ma anche del destino della vita, dell’orientamento dell’intera esistenza, dei fini ultimi; infine senso ha a che fare con il gusto, dunque con i sensi e rinvia alla dimensione estetica, della bellezza, essenziale per far respirare l’uomo a piani polmoni e umanizzando pienamente. Ecco, la fede assume queste domande (“perché?”, “come?”, “verso dove?”) e in Gesù Cristo le orienta: egli infatti è “via, verità e vita” (Giovanni 14,6) (Luciano Manicardi, {link_prodotto:id=610}, Qiqajon , Bose 2005, pp. 18-21).

La fede come adesione al Signore

Gesù di Nazareth che ci ha raccontato e spiegato Dio, prima di lasciarci ha iniziato il suo ultimo discorso con queste parole: “Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” (Giovanni 14,1). Ma cosa significa aver fede, credere? Nella Bibbia queste espressioni hanno un significato molto più ambiguo e polivalente di quello che hanno nel nostro linguaggio usuale; e tuttavia non indicano mai un atteggiamento umano di conoscenza intellettuale nei confronti di Dio, quanto piuttosto la realtà che lega l’uomo a Dio nel rapporto di alleanza, di conoscenza attiva e penetrante.
Nell’Antico Testamento le due radici fondamentali per esprimere la fede, il credere, sono aman e batakh, indicanti la prima “attaccamento”, “adesione”, “unione”, “inerenza”, “legame”, la seconda il “fare affidamento”, l’“aver fiducia”, il “mettere il piede sul sicuro”, il “trovare fondamento”. Se il primo termine ha un valore statico (tipico il derivato “Amen” che significa: “È così! È solido, dunque è vero”), il secondo è più dinamico.


Un bambino attaccato con una fascia aman al seno di sua madre (cf. Isaia 60,4) non è in una condizione indifferente; egli ha fiducia batakh, si sente sicuro (cf. Salmo 131,2) in quella condizione. La fede è dunque un’adesione al Dio dell’amen (Isaia 65,16), un mettere la fiducia solo in lui rimanendo saldi: non un’idea, non un fatto intellettuale, ma una realtà che coinvolge tutto l’uomo.
La fede non è pensare che... credere che... Dio esiste, ma aderire al “Signore tuo Dio”: il credo dell’ebreo in una delle più antiche confessioni di fede (cf. Deuteronomio 26,3-10) è la decisione di mettersi in alleanza con quel Dio che ha agito e sta ancora operando per il credente, per il suo popolo.
Un testo fondamentale dice: “Se voi non credete, non avrete stabilità” (Isaia 7,9), ma va compreso e tradotto: “Se voi non aderite a me, non avrete stabilità”. Ecco la fede: legame con Dio, attaccamento, adesione a lui (Enzo Bianchi, il radicalismo cristiano. Seguire Gesù il Signore, Gribaudi, Torino 1989, pp. 27-28).