Essere un figlio giusto: da Edipo al figliol prodigo - Massimo Recalcati

Leggi tutto: Essere un figlio giusto: da Edipo al figliol prodigo - Massimo Recalcati

Leggi tutto: Essere un figlio giusto: da Edipo al figliol prodigo - Massimo Recalcati È la quarta volta che Massimo Recalcati è a Bose per parlare agli ospiti e alla comunità. Il priore, fratel Enzo Bianchi, lo presenta come uno dei suoi più grandi amici: “amicizia che è proporzionale alle cose che Massimo riesce a dire e a fare per la polis”.

Il tema affrontato oggi da Massimo Recalcati è la figura del figlio: nella vita tutti possiamo essere o non essere fratelli, sorelle, madri, padri ecc., ma tutti siamo figli, e nessuno può sottrarsi a questa condizione, che quindi ci accomuna. Recalcati presenta due figure alternative di figlio: Edipo, il figlio di Laio, raccontato nella tragedia di Sofocle, e il figlio minore della parabola del vangelo di Luca. Due figli che appartengono a culture profondamente diverse. Il padre narrato nel vangelo, diversamente dal padre sofocleo (Laio), non ha paura del figlio, ha fiducia in lui, gli dona la possibilità della libertà. In questo modo, il padre “spiazza” il figlio, non entra in conflitto con lui. La condizione che rende possibile l’abbraccio, quando il figlio ritorna, è la sospensione della legge, la rinuncia a infliggere il castigo, la punizione. Nella tragedia di Sofocle, invece, gli errori di Edipo, tutti i tentativi che fa di liberarsi dal suo “destino”, ne rafforzano le maglie. Edipo è un figlio dal destino già scritto, senza possibilità di scampo. Il giovane della parabola del vangelo di Luca è un figlio cui vengono accordate fiducia, libertà e perdono. È un figlio che imbocca, come Edipo, una strada di morte, ma a cui, attraverso il perdono, è ridonata la vita. La possibilità di una nuova vita.

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Sintesi della giornata di Chiara Pignocchi

Il profeta Amos - Gianfranco Ravasi

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Leggi tutto: Il profeta Amos - Gianfranco RavasiLa “voce” squillante, veemente, a tratti perfino violenta del profeta Amos viene evocata, risvegliata dal cardinal Gianfranco Ravasi, in un’atmosfera di semplicità e familiarità. “La cosa migliore che io so fare è rivestire parole antiche di nuovo”: accompagnato da questo verso del sonetto 76 di Shakespeare, Ravasi si appresta a far risuonare le parole di Amos. Amos, allevatore di pecore, non faceva di lavoro il profeta, né era figlio di profeti: la vocazione a parlare a nome del Signore lo raggiunge dall’esterno, è qualcosa che lo precede e lo supera. La Parola che Amos trasmette è impastata con le parole che gli sono proprie: si esprime, infatti, con immagini concrete, legate alla sua esperienza di pastore. Con eloquio affabulatorio e stile didattico, Ravasi narra ai circa trecentosettanta ospiti presenti i passi più significativi del libro.

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Sintesi della giornata di Chiara Pignocchi

Noi e l'Islam - Paolo Branca

Leggi tutto: Noi e l'Islam - Paolo BrancaAlla giornata di oggi, dedicata all’incontro con Paolo Luigi Branca sul rapporto tra noi e l’islam, hanno partecipato numerosi ospiti. Durante la mattina il professor Branca ha fornito dei brevi cenni su quello che ha definito un universo molto complesso, formato da un miliardo e mezzo di persone: la comunità islamica. È seguita la celebrazione eucaristica, prima della quale il priore della comunità di Bose, fratel Enzo Bianchi, ha espresso una vicinanza nella preghiera con i fratelli musulmani, che professano una fede che è insieme nell’unico Dio ma anche “altra” rispetto a quella dei cristiani.

Non vi sono forme praticabili di coesistenza tra due antiche tradizioni culturali e religiose in un'epoca nella quale esse si trovano a vivere una crescente intensificazione di contatti? Che quest'ultima comporti
problemi e che non siano né pochi né di scarso rilievo i rischi che la gestione di un simile fenomeno porta con sé è del tutto evidente. Ma proprio qui sta il punto. La domanda essenziale che dobbiamo porci è
appunto se il multiculturalismo sia un fenomeno gestito o semplicemente subito, di fronte al quale prevalgono atteggiamenti comunque inadeguati.
Non ci vuol molto ad accorgersi infatti che, come contraltare di una posizione demonizzante, l'atteggiamento più comunemente diffuso è quello del relativismo o, per dirla in modo più chiaro, dell'indifferenza. Se
l'islamofobia è più rumorosa e facile a diffondersi, non meno dannoso è il concordismo facilone di quanti si illudono che la mediazione avverrà da sé, spontaneamente, con tanta maggiore agilità quanto più saremo capaci di rinunciare a simboli e a valori tradizionali per sederci concordi all'effimero tavolo del benessere materiale.
Che gli esseri umani si stiano mischiando è un fatto, molto meno sicuro è che le culture si stiano incontrando.

Durante il pomeriggio è stato possibile, per i presenti, porre domande al professor Branca, suscitando così uno scambio vivace di questioni e idee.

Sintesi della giornata di Chiara Pignocchi

Credo nello Spirito Santo - Raniero Cantalamessa

Leggi tutto: Credo nello Spirito Santo - Raniero CantalamessaIl priore di Bose, fratel Enzo Bianchi, ha introdotto il confronto di questa giornata mettendo in luce il carisma della predicazione di padre Raniero Cantalamessa, che più di trent’anni fa lasciò la carriera universitaria per dedicarsi all’annuncio della Parola di Dio. La mattina è stata dedicata al racconto della pentecoste, con particolare attenzione al versetto degli Atti che padre Raniero ritiene più significativo per questo tema: “Tutti furono pieni di Spirito santo”.

La venuta dello Spirito sugli apostoli non è qualcosa di tangibile o di visibile secondo i sensi umani, tuttavia è riconoscibile per gli effetti che lascia: dopo l’evento, gli apostoli sono privi del timore che prima li attanagliava, smettono di litigare fra loro, escono per narrare ad altri la buona notizia della resurrezione di Cristo. Nel pomeriggio è seguita l’analisi dell’articolo del Credo che riguarda lo Spirito santo. Un’analisi semplice, che ha coniugato nozioni storico-teologiche con un linguaggio divulgativo e uno stile pastorale, sempre attento a tradurre la teoria in spunti di riflessione pratica.

Sintesi della giornata di Chiara Pignocchi

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Dopo il sinodo sulla famiglia - Enzo Bianchi, Basilio Petrà

Leggi tutto: Dopo il sinodo sulla famiglia - Enzo Bianchi, Basilio PetràLa giornata dedicata alla riflessione sul sinodo appena concluso, si è aperta con il saluto del priore di Bose, fratel Enzo Bianchi, che ha detto: “Crediamo che nella chiesa ci sono vocazioni diverse, debitrici le une delle altre, per questo noi monaci ospitiamo un confronto sul tema della famiglia”. Quindi ha lasciato la parola a don Basilio Petrà, che ha messo in luce la libertà di parola e la varietà delle posizioni emerse durante i lavori sinodali. In continuità con il Concilio Vaticano II, il sinodo ha letto il matrimonio umano secondo una visione cristocentrica: solo fissando lo sguardo su Cristo, sul suo insegnamento, si comprendono in verità i rapporti umani.

Durante il pomeriggio è stato possibile un confronto a più voci: Basilio Petrà e Enzo Bianchi hanno risposto alle domande poste dai presenti. Una questione verteva su quale spazio sia stato riservato durante il sinodo alla teoria del gender e a chi vive relazioni di omoaffettività (Questo il termine usato da chi ha posto la domanda). La risposta è stata che questo tema si è trattato in maniera estremamente pacata, accogliendo la consapevolezza che la sessualità non è solo natura, ma anche cultura. Al termine del confronto, fratel Enzo ha ricordato che la famiglia è una realtà sempre da evangelizzare e non, come si sente dire di frequente, una realtà che reca già in sé la buona notizia del vangelo di Cristo.

Sintesi della giornata di Chiara Pignocchi

Quale Dio? - Massimo Cacciari

Leggi tutto: Quale Dio? - Massimo CacciariQuale Dio? Sempre più questa domanda risuona oggi nel dialogo tra le religioni, o di fronte all'esperienza del male.

Nel confronto tenuto a Bose domenica 21 giugno, Massimo Cacciari ha mostrato come questo interrogativo sia intrinsecamente legato alla tradizione occidentale, che Massimo Cacciari ha percorso riandando a Platone e Aristotele, attraversando il medioevo, Spinoza, Lutero, Hegel e toccando anche il confronto con l’islam. Quella occidentale è una tradizione che vive di una polemica profonda su Dio e che ne ha concepito immagini contrastanti.

Nella grecità classica affondano le radici di una tensione che permane nei secoli: da una parte Platone, che pensa il divino come l’Uno che sta al di là delle sue manifestazioni sensibili , separato e altro dal mondo. Dall’altra parte Aristotele e il suo concepire Dio come quell’ente sommo che, dal vertice del cosmo, spiega la dinamica insita al divenire di tutti gli altri enti.

Queste due vie aperte nell’antichità e insolute nella loro reciprocità, permeano anche il medioevo, impegnato a spiegare l’esperienza di un Dio esistente e rivelato, ma insieme altro dall’esistente, nascosto e velato: sistole e diastole dell’esperienza religiosa.

Il paradosso dell’incarnazione ripropone questo dialogo e le sue sottili conseguenze: è tutto Dio che prende carne e che diventa compiutamente dispiegato alla comprensione umana, o l’immagine rivelata nel Figlio rimanda ad un’immagine che è mistero eccedente e trinitario?

Quale Dio dunque? La domanda rimane aperta, dischiusa alla ricerca dell’uomo che rischia la parola su Dio.

Sintesi della giornata di Francesca Simeoni

La Famiglia - Silvia Vegetti Finzi

Leggi tutto: La Famiglia - Silvia Vegetti FinziPsicologa clinica, psicoterapeuta dell’età evolutiva e della famiglia, scrittrice e giornalista, già professoressa di Psicologia Dinamica presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Pavia. Attiva nel Movimento delle donne, è stata membro dell’Istituto Nazionale di Studi per l’infanzia e l’adolescenza, del Comitato Nazionale di Bioetica e del Consiglio Superiore della Sanità. Nel 1989 ha ricevuto i premi nazionali per la Psicoanalisi e la Bioetica. Collabora regolarmente con il Corriere della Sera, il Blog di “Io donna” Psiche lei,il mensile Insieme e la rivista svizzera Azione.

Senza la mobilitazione morale del desiderio di chi intende diventare padre e madre, nessuna legge sarà mai in grado di mettere ordine nella vita sequestrata ai corpi e ai destini. In questo senso la maternità, pur tra mille difficoltà e contraddizioni, rappresenta nella sua forma ideale un paradigma esemplare: ci mostra infatti che è possibile limitare l'onnipotenza inconscia, porre freno all'egoismo proprietario dell'io e del mio. Inizialmente la madre ha un possesso assoluto del figlio. Da lei dipende non solo il corpo ma anche la mente del bambino. Il suo dominio non conosce eguali perchè, contrariamente allo schiavo di fronte al padrone, al servo dinnanzi al signore , al prigioniero alla mercè del suo aguzzino, il neonato non può neppure pensarsi separato dalla madre.
Eppure la simbiosi originaria progressivamente si schiude al riconoscimento che il figlio è un altro, diverso da come lei l'aveva sognato e cresciuto. La maternità, che tendiamo a considerare solo come una forma di possesso, si apre invece, anche grazie alla funzione socializzante del padre, all'accettazione dell' autonomia e dell'indipendenza del figlio, all'ammissione che la vita che gli è stata data non appartiene a chi lo ha generato.

Con la modernità la dimensione della maternità ha assunto confini sempre più individualistici e privatisti. Ormai l'essere madre, generare un figlio non è più un fatto collettivo ma un'incombenza che grava quasi esclusivamente sul nucleo famigliare ristretto o spesso solo la donna. Spesso si sente dire che la gravidanza ormai passa “come niente fosse”, come fosse un tempo che non ha per la futura madre, niente di diverso dagli altri; continua il lavoro e le altre attività, ma questo non permette di preparare il grembo “psichico”, ma solo quello fisico. Il figlio è l'ospite che è sempre altro da quello che si è immaginato e per questo ogni figlio va adottato, tutti siamo figli adottivi, e tutti tramite questa adozione abbiamo ereditato la certezza di essere unici e non ripetibili. Ci vuole disponibilità per accogliere un figlio, e fare passare la gravidanza sotto silenzio non è il mondo migliore per prepararsi ad avere un figlio. Non siamo solo soggetti sociali e produttivi ma anche soggetti psicologici. La maternità ha inoltre bisogno di silenzio, l'accoglienza e la disponibilità si preparano nel silenzio, nella riflessione e nella concentrazione. Come dice Simone Weil: “Abbiamo bisogno di attenzione, l'attenzione è il dono più grande che ci possa essere dato”.

Silvia Vegetti Finzi propone un excursus attraverso l'efficacia dei simboli per riscoprire ciò che abbiamo perso: quelle dimensioni che abbiamo dimenticato e che sono da sempre, prima del tempo, quelle forze telluriche che permettono di uscire dalla logica stretta del calcolo e degli interessi egoistici e che aprono e permettono la vita e la generazione. E' necessario riprendere il giusto contatto con la natura con i suoi ritmi e le sue stagioni, oggi si pensa che sia qualche cosa che non ci riguarda e che quindi possiamo sfruttare per i nostri interessi. Per questo bisogna riflettere sul rapporto dell'umanità con il limite che ormai sembra non esserci più: a quale punto ci fermeremo? Questa mancanza del limite ci angoscia ma non sappiamo gestirla. La filiazione dovrebbe essere sottratta al calcolo delle convenienze e alle ingerenze della tecnica. Il desiderio di un figlio viene da lontano e non è certo governato dall'interesse. C'è una spinta che non è solo individuale e viene da lontano. Ci vogliono tre volontà: quella della madre, quella del padre e quella del bambino che vuole venire al mondo. E' un compito che la coppia esegue. Bisogna saper vivere nell'ordine dell'obbedienza non solo quello del calcolo. Quello che conta non si conta.

 

Sintesi della giornata di Sofia Bianchi