Se dei cristiani vivono in gruppo, hanno come primo intento quello di essere tutti insieme una risposta a quella proposta di amore che il Cristo ha rivolto a tutti i cristiani: ci si riunisce insieme a vivere, spingendosi il più lontano possibile, il vero amore di Cristo, il vero amore degli altri...
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Dove nasce la comunità cristiana non può essere che dono, segno della misericordia di Dio, anticipazione, prefigurazione e pregustazione del regno che viene, di ciò che solo più tardi può diventare realtà per tutta la chiesa...
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Nell’edificazione della polis che li accomuna agli altri uomini, i cristiani non hanno certezze o ricette: il vangelo non fornisce formule magiche in base alle quali indicare la via che conduce infallibilmente alla realizzazione degli obiettivi di una polis...
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C’è un aspetto di profonda verità in coloro che riscoprono la chiesa
come “comunità alternativa”, a partire dall’esperienza della chiesa
degli apostoli. Di fronte alla solitudine dell’uomo prigioniero dei
propri idoli, la comunità dei discepoli che si vogliono bene annuncia
il dono di una comunione nuova, possibile per la grazia di Dio. Come si
può definire una “comunità alternativa”? È una rete di relazioni
fondate sul vangelo, che si colloca in una società frammentata, dalle
relazioni deboli, fiacche, prevalentemente funzionali, spesso
conflittuali ... Una riflessione sulla comunità cristiana come comunità
alternativa è rinata in anni recenti. Al di là delle proposte talora un
po’ utopiche o a rischio di chiusura ideologica, il tema è certamente
legato al progetto di Gesù per una nuova umanità: purché si intenda
questo progetto in senso largo e aperto, come progetto che si realizza
in molti modi analogici, che rimane sempre aperto alla creatività dello
Spirito. Una comunità alternativa nel senso del vangelo non é dunque
una setta né un gruppo autoreferenziale che si distacca orgogliosamente
dal tessuto sociale comune, né un’alleanza di alcuni per emergere e
contare. Non è perciò necessariamente e sempre visibile come gruppo
compatto, perché sa accettare anche la diaspora, cioè può ritrovarsi,
per diverse circostanze storiche, in “dispersione”. Ma nell’insieme ha
caratteri di visibilità e in ogni caso, visibile o meno, agisce sempre
come il lievito, le cui particelle operano in misterioso collegamento
fra loro e si sostengono a vicenda per fare fermentare la pasta.
Nel Nuovo Testamento ci sono offerti diversi modelli di comunità
alternative: quello della chiesa di Gerusalemme; descritto in Atti
degli apostoli 2-5, quello vigente nelle comunità di Antiochia o
Filippi o Efeso o Corinto, che comprende sia rapporti interni fra i
membri di ogni comunità locale, sia ricchi scambi tra comunità diverse
con forme molteplici di comunione nella preghiera, nella fede, nella
carità. I testi del Nuovo Testamento ci mostrano che tali comunità non
erano esenti da problemi, divisioni, tensioni, scandali: ma tutto ciò
era occasione di revisione e alla fine di crescita nella fede, nel
perdono e nell’amore. Comunità alternativa non significa dunque
comunità perfetta o senza difetti, ma comunità che si lascia formare e
correggere dall’azione dello Spirito santo per portare quelle promesse
di comunione e di perdono che preludono alla Gerusalemme celeste.
Anche con tutti i suoi peccati la comunità alternativa rimane un ideale
di fraternità in divenire, destinato a mostrare a una società
frammentata e divisa che possono esistere legami gratuiti e sinceri,
che non ci sono solo rapporti di convenienza o di interesse, che il
primato di Dio significa anche l’emergere di ciò che di meglio c’è nel
cuore dell’uomo e della società (Carlo Maria Martini, Ripartiamo da
Dio! nn. 28-30).