Un giudizio per la salvezza
19 luglio 2025
Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 12,14-21 (Lezionario di Bose)
In quel tempo 14i farisei uscirono e tennero consiglio contro Gesù per farlo morire.
15Gesù però, avendolo saputo, si allontanò di là. Molti lo seguirono ed egli li guarì tutti 16e impose loro di non divulgarlo, 17perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:
18Ecco il mio servo, che io ho scelto;
il mio amato, nel quale ho posto il mio compiacimento.
Porrò il mio spirito sopra di lui
e annuncerà alle nazioni la giustizia.
19Non contesterà né griderà
né si udrà nelle piazze la sua voce.
20Non spezzerà una canna già incrinata,
non spegnerà una fiamma smorta,
finché non abbia fattotrionfare lagiustizia;
21nel suo nome spereranno le nazioni.
Il Vangelo di oggi consiste nella più lunga citazione dell’Antico Testamento che si legga in Matteo. La citazione è tratta da Isaia, e in particolare da quello che viene impropriamente considerato come il primo “canto del Servo” (Is 42,1-4), benché non si tratti di una confessione personale, ma della presentazione profetica di una figura regale senza nome, che già secondo l’antica esegesi targumica è il Messia: “Ecco, il mio servo”.
La parola centrale di questo testo, in ebraico mishpat, in greco krìsis, in realtà vuol dire “giudizio”, e non “giustizia”, come viene resa nella traduzione ufficiale. Questa è una differenza importante, perché è vero che il giudizio è sempre intento a ristabilire una giustizia, ma non si deve confondere la causa con l’effetto. Si tratta quindi di un giudizio, senonché questo giudizio è del tutto insolito, sorprendente, perché non è una condanna.
Non è: per cinque volte, in questo breve testo, ricorre la negazione. Il Servo-Messia non contesterà, non griderà, non farà udire nelle piazze la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino fumigante. Questa è la figura letteraria della litote: per affermare una cosa, si nega il suo contrario. Per affermare che il giudizio del Servo è di salvezza, si nega che sia un giudizio di condanna. O, meglio, negando che si tratti di una condanna, implicitamente si annuncia proprio la salvezza.
Pertanto, ciò che il Servo-Gesù “annunzia alle genti” (e non solo al popolo d’Israele) è la loro salvezza; infatti, “è nel suo nome che spereranno le genti” (meglio che “le nazioni”, proprio per distinguerle, nell’economia salvifica, da Israele). Il Messia Gesù, l’eletto e l’amato da Dio, colui in cui il Padre ha posto il suo compiacimento, è la salvezza dell’umanità, e quindi la nostra speranza.
Ma in che modo, come mai? In che modo il giudizio di condanna può risultare, inaspettatamente, un giudizio di salvezza? Nell’unico modo possibile: quando qualcuno prende su di sé la condanna, a favore degli altri. La figura del Servo del Signore, delineata da Isaia, trova la sua massima esplicitazione poco più in là: “Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori” (Is 53,4, citato espressamente da Mt 8,17). E, ancora più chiaramente: “Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui” (Is 53,5). Egli ha preso su di sé la condanna che spettava ad altri.
Diciamo la verità: che un uomo si addossi il castigo dovuto ad un altro, umanamente è ingiusto. Si potrebbe perfino prestare ad un abuso. Perciò noi facciamo così fatica a capire la profezia isaiana del Servo del Signore; perciò tante volte ci contraddice la logica evangelica e noi recalcitriamo di fronte alla nostra croce (giacché la croce non è soltanto per Gesù). Eppure è su questo portare i pesi gli uni degli altri che si fonda la vita fraterna, la comunione ecclesiale.
È un po’ come se un giudice condannasse un colpevole, ma poi si rendesse conto che questi è un povero e non ha i soldi per pagare l’ammenda. Allora è lo stesso giudice che paga l’ammenda di tasca sua. Questa è giustizia e misericordia.
fratel Alberto