Sotto il giudizio della Parola

Giovanni Frangi “MT2425” (2008). Veduta dell’installazione all’ex Oratorio di San Lupo, Bergamo (2008)
Giovanni Frangi “MT2425” (2008). Veduta dell’installazione all’ex Oratorio di San Lupo, Bergamo (2008)

20 giugno 2025

Gv 12,47-50

In quel tempo, Gesù disse alla folla:«47Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. 48Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell'ultimo giorno. 49Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. 50E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».


Queste parole di Gesù, sintesi di tutto il suo insegnamento, ci interpellano sull’autenticità della nostra sequela.

“Se uno ascolta le mie parole…”. Alla radice di tutto c’è l’ascolto, la disponibilità a prestare attenzione a una parola che ci viene rivolta in modo personale. L’ascolto è già la nostra risposta amorosa a colui che ci chiama. Un ascolto non superficiale, ma capace di scavare uno spazio in sé alle parole di Gesù perché possano farsi carne, e continuare a realizzare attraverso di noi - e nonostante noi - quella promessa di vita e di salvezza che annunciano.

Sì, perché “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). È credibile la parola che trasmette amore. E noi misuriamo la nostra fedeltà al Signore nella modalità in cui amiamo gli altri, agiamo a favore degli altri, viviamo per gli altri e così osserviamo la sua parola, compiendola nella nostra vita.

“Sono venuto per salvare il mondo”. È il mistero dell’incarnazione di un Dio che si è fatto prossimo all’uomo, raggiungendolo in Cristo là dove egli si trova. La preposizione “per” è la chiave di volta di tutta l’esistenza cristiana: ciò che è all’inizio della nostra vocazione di discepoli, uomini e donne per i quali Gesù ha donato tempo ed energie fino a dare la sua stessa vita. E nel contempo ciò che ne costituisce il télos, il fine. In questo “per” sta il segreto dell’esistenza, come lo è stato per Gesù, vissuto come “uomo per gli altri”.

Intuiamo tutta la portata, insieme alla fatica, che tale progetto di vita comporta. Gesù lo ha misurato in quanti si erano messi alla sua sequela: “La mia parola non trova accoglienza presso di voi” (Gv 8,37). “Questa parola è dura, chi può ascoltarla?” (Gv 6,60).

Dura, sì, ma perché? È indubbio che sia una parola esigente perché esigente è il comandamento dell’amore e perché richiede un cammino di decentramento da sé, dall’idea che troppo in fretta ci facciamo di Dio e delle questioni “religiose”, per lasciarci raggiungere in profondità dalla Parola che passa al vaglio la nostra fede, ci mette a nudo “come una spada a doppio taglio che penetra fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12). È la Parola stessa che ci giudica, quando non ci lasciamo penetrare da essa e non ci apriamo al dono che è vita di comunione con Dio nel Figlio e tra noi fratelli e sorelle.

“C’è qualcuno che desidera la vita e vuole giorni per gustare il bene?” (Sal 34,13). Accogliamo come rivolte a noi le parole del salmista. La fede non è un dono rassicurante, ma implica un lavoro quotidiano. Sforziamoci di credere al progetto di salvezza che Dio ha per l’umanità. Non temiamo di rimanere sotto il giudizio della sua Parola, che come lampada guida i nostri passi e orienta il nostro cammino. Non stanchiamoci di credere all’amore, di trasmettere fiducia e speranza nonostante i possibili errori e le storture che vediamo attorno a noi. Discepolo del Signore è chi riceve la vita da lui come un dono da accogliere e da condividere nella gioia.

fratel Salvatore