Il cantico di lode del nascondimento
19 giugno 2025
Luca 10,21-24
In quel tempo21 Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 22Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
23E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. 24Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».
«La mia mente abbisogna di chiese dai grandi echi e del frastuono delle strade fuori dal suo luogo di calma per scoprire dove le soffici colombe della pace si ritirano» (Elizabeth Jennings).
Questo ritirarsi sembra la cifra essenziale della vita e della spiritualità di san Romualdo (+ 1027), figura luminosa dell’eremitismo nell’Italia centrale e settentrionale all’alba del secondo millennio. Uomo di intensa preghiera, con occhi bagnati da lacrime di compunzione, Romualdo fu il fondatore di diversi monasteri, tra cui quelli Camaldoli e di Fonte Avellana, «secondo il triplex bonum della solitudine, della vita in comune e dell’evangelizzazione» (Benedetto XVI).
La pagina del vangelo di Luca illumina così il volto di questo santo monaco, asceta ed eremita, in quel “rendere lode” al Padre, a colui che è «Signore del cielo e della terra», che tiene tutto nelle sue mani, e che ha voluto rivelare se stesso e comunicare la propria epifania di luce, di parola e di grazia, non «ai sapienti e ai dotti» secondo il metro mondano, ma «ai piccoli», a coloro che vivono nel nascondimento, nella solitudine del cuore e, al contempo, nella comunione della vita fraterna.
All’interno di questo movimento di sistole e diastole, fra silenzio e parola, tra vita di solitudine e condivisione della fraternità, si inscrive il servizio di lode, il canto della preghiera, intessuto di parole e nel silenzio che le supera: «forse ogni preghiera che diciamo [è] obliqua, insicura, raramente semplice […]. Il decoro formale un poco sorride. Colonne, cupole sono visioni, sono aspirazioni. Non possiamo restare a lungo in mezzo a tale elevatezza»: la nostra preghiera spesso è più simile ad una cappella campestre diroccata che allo slancio sicuro di una cattedrale imponente. «Le nostre case di preghiera sono malferme» (E. Jennings), ma da quelle profondità si leva il nostro grido di speranza, la nostra voce di supplica, il nostro palpito di gioia…
E quella rivelazione di Dio «ai piccoli», questa epifania nella piccolezza chiede poi di «contemplare e meditare quotidianamente la sua Parola, […] secondo l’inestimabile tradizione monastica, coltivando la lectio divina che oggi, per un dono della divina Sapienza, viene partecipata in abbondanza all’intero Popolo di Dio. I pastori sanno bene di quanto in ciò la Comunità ecclesiale è debitrice verso voi monaci!» (Giovanni Paolo II).
Romualdo è stato vita scavata dallo Spirito, nella docilità alla Parola, per vedere ciò che i più non vedono, per ascoltare ciò che sfugge alle orecchie di molti. «Anche qui alla base di tutto c’è la grazia di Dio, c’è il dono della chiamata, il mistero dell’incontro con Gesù vivo. Ma questa grazia domanda la risposta dei battezzati: richiede l’impegno di rivestirsi dei sentimenti di Cristo: tenerezza, bontà, umiltà, mansuetudine, magnanimità, perdono reciproco, e sopra tutto, come sintesi e coronamento, l’agape, l’amore che Dio ci ha donato mediante Gesù e che lo Spirito Santo ha effuso nei nostri cuori. E per rivestirsi di Cristo è necessario che la sua Parola abiti tra noi e in noi con tutta la sua ricchezza, e in abbondanza. In un clima di costante rendimento di grazie, la comunità cristiana si nutre della Parola e fa risalire verso Dio, come canto di lode, la Parola che Lui stesso ci ha donato. Ed ogni azione, ogni gesto, ogni servizio, viene compiuto all’interno di questa relazione profonda con Dio, nel movimento interiore dell’amore trinitario che scende verso di noi e risale verso Dio» (Benedetto XVI).
Un fratello di Bose