Ospitare ascoltando

Foto di Nik su Unsplash
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Una persona descritta come: “essere umano in spirito impuro” (cf. Mc 5,1-20) investe Gesù. Al tempo di Gesù così si nominavano i disagi e le malattie dell’anima, i disturbi della mente e dello spirito. Li si spiegava, facendoli rientrare nella “anormalità”.

Questa persona è un morto vivente. Non distingue il giorno e la notte, non dorme: ha perso la coscienza del ritmo del tempo. Si ferisce da sé: non rispetta il corpo. Urla e sbraita: ha perso l’uso della parola. I suoi fantasmi interiori lo trascinano alla morte.

“Nessuno riusciva a legarlo neanche con catene, poiché più volte era stato legato con ceppi e catene e le catene erano state spezzate da lui e i ceppi spaccati, e nessuno aveva la forza di domarlo” (vv. 3-4). Gli abitanti del luogo non vogliono guarirlo. Tentando di domarlo non intervengono sui fattori della sofferenza. Ratificando la sua prigionia lo incatenano alla sua sventura.

Questo è un meccanismo violento: legandolo pensano che il problema sia lui, non si accorgono che è sintomo di qualcos’altro. Si rifiutano di ascoltarlo o di cambiare sguardo per aiutarlo. È più facile dire che è un indemoniato, un anormale, “non è uno di noi”, piuttosto che chiedersi: “Che costa sta dicendo a noi e di noi?”. Non si interrogano se in quel corpo si visibilizzi il malessere del loro mondo.

“E vedendo Gesù da lontano, corse, si prostrò dinanzi a lui e urlando a gran voce disse: ‘Che c’è fra me e te, Gesù, figlio del Dio Altissimo? Ti scongiuro nel nome di Dio: non tormentarmi!’. Gesù infatti gli diceva: ‘Spirito impuro, esci da questo essere umano!’” (vv. 6-8). La parola dell’indemoniato è preceduta da altre parole di Gesù, parole ripetute, Gesù stava già parlando a costui vedendolo arrivare, forse in preda a un comportamento violento. Ricorre al protocollo dell’esorcismo, come altre volte, ma non funziona. Gesù è costretto a rivedere come rapportarsi con questa persona.

Si ferma e ascolta. Non si arresta alla violenza delle parole, alla sgradevolezza dell’aspetto, al caos del comportamento, ma ascolta la sofferenza nascosta sotto. Non è facile, eppure Gesù cerca con lui una relazione personale.

Lo ospita ascoltandolo. Un ascolto autentico pone un limite al proprio conoscere. Ci si rende poveri di conoscenza come presa sull'altro. Non si sa già cosa si vuole trovare cercando. Non si muove per programmi di ricerca o con troppa intenzionalità. Non si cerca conferma a pregiudizi o stereotipi né è funzionale a un potere sull'altro, anche a fin di bene. Si ascolta bene solo se si tollera di non sapere, di non capire. Gesù infatti passa dalla formula dell’esorcismo a una domanda: si crea lo spazio perché l’altro possa dirsi nel suo malessere, liberandosi dalle etichette. Non è più un essere umano in spirito impuro, ma una persona che interessa a un’altra persona. È una persona capace di rivolgere una parola e di trovare ascolto e, a sua volta, di ascoltare la parola altrui. Se la violenza che ha subito dal suo mondo gli ha provocato una tale aggressività da ridurlo così, nell’ascolto di Gesù che manifesta un’accoglienza radicale e benevola, nell’alternarsi di parola e silenzio egli viene restituito alla propria umanità. Questa persona smette di urlare e parla. Ritorna nel mondo dei vivi! Qui comincia la liberazione.


La canzone Sólo le pido a Dios León Gieco, viene eseguita dall’Alma Sufi Ensemble in una moschea di Buenos Aires nel novembre 2023 ed è interpretata e rivisitata da León Gieco in spagnolo, da Nuri Nardelli in arabo e da Gastón Saied in ebraico.