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a cura di Giovanni Cucci s.j., Pontificia Università Gregoriana e Luciano Manicardi, monaco di Bose. dal 27 luglio al 1 agosto
Il corso riprende la tradizione cristiana dei cosiddetti "vizi capitali" per operarne una rilettura interdisciplinare nell'oggi. La lista dei vizi capitali è una griglia che consente di leggere la persona, ma anche le sue relazioni interpersonali, sociali e politiche: essa dice qualcosa di profondo sull’essere umano e sul suo mondo. Parlando di vizi capitali noi parliamo di una possibilità dell’uomo. I vizi ci indicano, per via negativa, per contrasto, la via della nostra riuscita umana, ci indicano le vie grazie alle quali la nostra vita può essere bella e non degradata. Parlando di gola e lussuria, di invidia e avarizia, di collera, di accidia e di superbia verranno passati in rassegna il rapporto con il cibo e con la sessualità, con gli altri e con il denaro e le cose, con il tempo e con lo spazio, con la parola e con Dio. Rapporti vitali e delicati, passibili di distorsione, su cui dunque vigilare per viverli in maniera sempre più umanizzata.
a cura di Rosanna Virgili, Istituto Teologico Marchigiano
L’opera di Luca, ha esordito la professoressa Virgili alla prima lezione, è racconto della mitezza di Cristo, della determinazione, della misericordia, dei poveri, delle donne, dei viaggi “per terra e per mare”, in un continuo decentramento dal tempio alle periferie. Gli episodi che si sono commentati sono l'annuncio dell'angelo a Maria, la visita a Elisabetta, le tentazioni di Gesù nel deserto, la guarigione della donna curva da diciotto anni e dell'indemoniato che viveva a Gerasa tra i sepolcri, e ancora la parabola del povero Lazzaro... La parola di Gesù, radicata nel Dio delle Scritture, si compie e si fa vita nel grembo di una vergine e di un'anziana; dialoga, in maniera vincente e liberante, con le pulsioni della fame, del potere sugli altri, del potere religioso, smascherandone il pericolo di idolatria; ridona dignità, umanità e prossimità a chi vive ripiegato su se stesso, isolato e intimamente diviso. La parola di Gesù rimette nel giro della vita coloro che, in vari modi e per motivi diversi, erano relegati ai margini della società del tempo, e di ogni tempo.
“Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo – cioè anche ‘per causa mia che sono il Vangelo, la buona e bella notizia per eccellenza’ –, la salverà” (Mc 8,35; cf. anche Mc 10,29), dice Gesù al centro del vangelo secondo Marco. Queste parole paradossali possono persino risuonare folli, assurde, soprattutto agli orecchi dei non cristiani. Come può un uomo pretendere questo? Eppure Gesù lo ha fatto, riassumendo così la peculiarità della vita con lui, ossia della vita cristiana. In proposito non c’è molto da commentare: c’è da sperimentare (e di conseguenza da capire) che il tenere gelosamente la vita per sé equivale a perderla, a gettarla via; il perderla per Cristo, dunque il vivere per amore suo con lui e come lui, cioè a favore dei nostri fratelli e sorelle in umanità, significa trovarla e vederla da lui salvata. La vita cristiana è molto semplice: è una vita umana conforme alla vita di Gesù Cristo, allo stile con cui egli ha vissuto, amato, dato e ricevuto fiducia.
In un certo senso, si deve dire che la Genesi non è l’inizio della Bibbia. L’inizio si trova negli eventi dell’esodo, quando Israele fece la conoscenza di Colui che divenne il suo Dio, il SIGNORE. La Genesi è un tentativo di raccontare Dio, in ciò che faceva prima di farsi conoscere a Israele. Ricuperando storie ancestrali di patriarchi, storie di clan e di tribù, che si raccontavano sotto le tende, e rileggendo i miti delle civilizzazioni circonstanti, Israele ha mostrato nella narrazione delle generazioni che compongono la Genesi, che il suo Dio, Dio di amore e di liberazione, si è manifestato tale fin dalle origini della storia umana e nelle varie vicende – anche tumultuose – della storia degli uomini. Nel contempo forgiava l’unità dello stesso popolo d’Israele.
«Dio è violento, sì o no? Le religioni, e il monoteismo ebraico-cristiano-islamico in particolare, sono fonte di pace, sono riserva critica nei confronti della cultura della violenza o sono motivo e giustificazione dei conflitti? L’attualità rende urgente, come sempre d’altronde, il chiedersi in rigorosità e verità di quali immagini di Dio si è portatori. Il che richiede, tra l’altro, un ritorno ai propri testi fondativi a coglierne il messaggio fontale, costitutivo ed essenziale, alla cui luce reinterpretare gesti e parole di violenza in nome del proprio Dio. Un Dio, e il riferimento è all’esperienza biblica, in principio pastore e guerriero, quindi smascheratore dell’origine da cui muove la violenza, il cuore dell’uomo, poi identificato dalle figure del Messia di pace e del Servo del Signore. Una breccia aperta che “Gesù verrà ad occupare” portando, nella versione cristiana, a compimento l’immagine di un Dio che si spezza senza spezzare nessuno, che si dà in pasto senza fagocitare nessuno, che non priva nessuno del suo sguardo di fiducia, di speranza e di amore. Per una storia altra, determinata dal guardare come si è guardati, un Dio non lupo prepotente, non volpe astuta, ma agnello mite e umile.»