Ospiti per amore e nell’amore

Giovanni Frangi
Giovanni Frangi

21 giugno 2025

Gv 14,23-26

In quel tempo, Gesù disse:«23Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. 25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.


In italiano, la parola ospite è ambivalente: può riferirsi tanto a chi ospita quanto alla persona ospitata. In ogni caso, però, lascia intuire un certo grado di conoscenza reciproca, o quanto meno di benevolenza e gratitudine; allude anche a diritti e doveri che, per quanto non codificati, sono riconosciuti da chiunque appartiene a una stessa cultura. Soprattutto, però, questa parola è un buon concentrato del vangelo che abbiamo appena letto: Gesù desidera essere ospitato da noi, anzi sta alla nostra porta e bussa perché lo ascoltiamo e gli apriamo (cf. Ap 3,14-20), e tutto il Vangelo secondo Giovanni ruota intorno al dramma del Figlio che “venne tra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,11).

Al tempo stesso, basta allargare un po’ lo sguardo rispetto al nostro brano – siamo nel lungo discorso che Gesù rivolge ai suoi discepoli, poche ore prima di essere arrestato nel Getsemani – e ritroviamo l’ambiguità dell’ospitalità. Questo discorso si apriva, infatti, con la menzione delle molte dimore presenti nella casa del Padre: Gesù andava a preparare un posto per loro (cf. Gv 14,2-3); ora, invece, è lui a cercare una dimora presso chi lo ama. Se il nostro spirito logico può trovare da ridire su questa apparente incongruenza, dobbiamo rifarci a un altro Spirito, quello promesso da Gesù e inviato dal Padre, il Paraclito che è stato il centro del vangelo proclamato per la Pentecoste.

Per una coincidenza che forse non è tale, però, anche il termine Paraclito racchiude più di un significato, come le note delle nostre bibbie ci ricordano: “consolatore” ma anche “avvocato difensore” quando altre persone, o la nostra stessa coscienza, ci accusano e ci inchiodano a una condizione di peccato invincibile e irrimediabile. 

Lo Spirito santo è la voce sottile che ci suggerisce, senza stancarsi mai di ripeterlo ai nostri cuori cocciuti, che la realtà è più grande e sfaccettata dell’idea che possiamo farcene; che più forte del male che pure ci abita è l’amore del Padre e del Figlio, amore che è l’identità dello Spirito e che ci fa comprendere che in questo amore possiamo essere ospitati e ospitali, capaci di accogliere ogni essere umano senza emettere giudizi perché riconosciamo di essere stati accolti e amati a nostra volta. Così il Paraclito si conferma una volta in più difensore: non solo nostro ma anche del Figlio, che tanto spesso dimentichiamo o confiniamo in spazi angusti dopo averlo confessato Signore delle nostre vite.

Lo Spirito santo, ricordandoci – o forse suggerendoci, con un tocco di discreta delicatezza a cui accenna la versione latina della Vulgata – le parole di Gesù, ci aiuta a rendere concreto e saldo il nostro amore per lui ossia a custodire la sua parola. Così ci scuoteremo dalla nostra autosufficienza, lo ascolteremo e gli apriremo e, riprendendo la profezia dell’Apocalisse, grande sarà la ricompensa: egli cenerà con noi e noi con lui, in una festa senza fine.

fratel Federico