Chi è il vero cieco?

immagine satellitare - Foto di USGS su Unsplash
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21 maggio 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 9,1-16

In quel tempo Gesù 1 passando, vide un uomo cieco dalla nascita 2e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». 3Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 6Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7e gli disse: «Va' a lavarti nella piscina di Sìloe» - che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?». 9Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». 10Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». 11Egli rispose: «L'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: «Va' a Sìloe e làvati!». Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12Gli dissero: «Dov'è costui?». Rispose: «Non lo so».13Condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c'era dissenso tra loro.


Passando, Gesù vide un uomo cieco”. È appena scampato alla lapidazione, eppure Gesù non è distratto dalla preoccupazione per la propria vita; lo vede e si ferma presso di lui. Colpisce il contrasto tra l’attenzione di Gesù e la reazione dei discepoli: essi non vedono un uomo, ma la sua cecità come problema teologico, e subito interrogano Gesù “chi ha peccato, lui o i suoi genitori perché nascesse cieco?”. Questa domanda religiosa è un triste modo per evitare l’incontro con la realtà dolente di quell’uomo e sentirne compassione. E per non porsi l’altra domanda: “Perché a lui, o a lei, e non a me?”. Se ci ponessimo questa domanda davanti alla sventura degli altri, non ci chiederemmo angosciati, quando il male cade su di noi o su chi amiamo: “”Perché proprio a me?”, come se l’esperienza ci avesse mostrato la giustizia della sventura. 

Porre davanti a un uomo sofferente la domanda “chi ha peccato?” è il tutt’altro di ciò che fece il buon samaritano nella parabola che Gesù inventò e incarnò in prima persona.

È capitale che Gesù riveli falsa questa domanda: “Né lui né i suoi genitori hanno peccato”- parola quasi inascoltata, ahimè. E l’aver continuato a pensare che la sventura sia lo stigma di un peccato, continua ad essere causa di infiniti delitti nella storia. Dei poveri ancora oggi c’è chi urla che la loro miseria sia colpa loro, come se un’ignavia malvagia, innata eppur colpevole, facesse loro scegliere ostinatamente l’emarginazione, preferendo la sporcizia all’igiene, cibi scadenti a quelli buoni, la patria altrui alla propria.

Eppure nella Bibbia, oltre ai giusti sofferenti così autorevoli nel Salterio, c’è l’esempio luminoso di Giobbe, l’uomo che si è rifiutato, fino all’ultimo, di accettare dai teologi il dogma più ingiusto: che la sventura si spieghi col peccato. E il Signore Dio ha dato ragione a Giobbe. 

E Gesù conferma proprio questo, stroncando per sempre, riguardo a ogni sventura, questo pensiero. Come disse circa quei galilei uccisi da Pilato, o quelli di Gerusalemme, uccisi dal crollo della torre, che non erano più peccatori di tutti gli altri per aver subito tale sorte (cf. Lc 13,1-5). E così quest’uomo cieco dalla nascita.

Ma è sabato quel giorno: e appena Gesù apre gli occhi all’uomo nato cieco subito si accende un processo contro di lui, accusato di trasgredirlo. E il Vangelo ci ammonisce: quando non vogliamo vedere l’evidenza che ci ammutolirebbe, qui il miracolo fatto da Gesù, non ci resta che l’accusa ingiusta. Questa nostra assurdità così penosamente umana Gesù l’ha stigmatizzata altrove dicendo: “Voi filtrate moscerini e ingoiate cammelli” (Mt 23,24). 

Così, subito condussero dai farisei quell’uomo che era stato cieco come testimone del delitto di essersi lasciato guarire in giorno di sabato! E verrà apostrofato “nato tutto nei peccati” lui che aveva il solo torto di essere stato guarito. 

E di Gesù, che guarendo il cieco ha appena mostrato un potere che non è di questo mondo, c’è chi dice: “Quest’uomo non viene da Dio perché non osserva il sabato”.

Tutto ciò, lo sappiamo, è stato scritto per noi (1 Cor 10,11), perché riconoscendoci ciechi, non accusiamo ingiustamente chi ci contraddice.

sorella Maria